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Anno edizione: 2022
Anno edizione: 1993
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Il primo libro che lessi di Kundera. Riletto a distanza di 11 anni, con maggiore maturità di allora (anche da lettore) e con altri romanzi dell'autore alle spalle. Inevitabilmente, ho apprezzato molto di più tante cose. Il confine tra il romanzo vero e proprio e il racconto in prima persona fa l'autore fin dall'inizio del libro è talmente labile che i due filoni narrativi sono più che paralleli, intrecciati. Certo, anche ciò che viene narrato in prima persona è frutto di fantasia, ma ciò che affascina è l'assenza di questo confine: l'autore, del tutto casualmente, immagina una storia e crea uno e più personaggi solo a partire da un gesto, che gli rimane impresso, di una persona davanti a sé. Il caso che crea tutto: e sul caso e una presunta attività motrice del mondo e della vita, Kundera parlerà in più occasioni nel corso del libro, sempre con spunti di riflessione tra i più intensi, mai banali, impermeati di esistenzialismo. Non siamo nuovi a questi argomenti in lui. Ad essi si innesta quello del miraggio dell'immortalità, tipico dell'essere umano, sondato fantasiosamente e piacevolmente attraverso altri episodi, avulsi dalla trama principale, se così si può dire: Goethe e Bettina, Goethe e Beethoven, Goethe che dialoga con Hemingway, e nuovi casuali personaggi che completano il quadro. Alla fine, tutto torna: il singolo episodio, oltre sé stesso, oltre il suo tempo, dà il senso di sé. Un po' come farci avvicinare al mondo di chi scrive, come si crea un romanzo a partire da spunti e ispirazioni reali, continuamente elaborate, come in un albero i rami che spuntano a varie altezze, tutti diversi, dallo stesso tronco. Il kaleidoscopio narrativo sulla vita, questa volta, si fa più metaromanzo che mai.
Se è di Kundera che si tratta, munirsi di matita per sottolineare! L'opera in questione può essere sintetizzata tramite questa frase: [...] Superare se stessa e l'infelice momento in cui vive, fare "qualcosa" perché tutti quelli che l'hanno conosciuta la ricordino. (I grandi romanzi, p. 191) Un libro ben fatto, avvincente, riflessivo, estremamente leggero nella sua complicatezza. A mio avviso non è l'opera ideale da cui iniziare a leggere Kundera. Qui l'autore ha già raggiunto la sua maturità letteraria e lo stampo riflessivo-filosofico si fa sentire ad ogni frase. Inoltre, lo stesso Kundera scherza dicendo che L'immortalità avrebbe dovuto chiamarsi L'insostenibile leggerezza dell'essere. Il fulcro di questa opera è il concetto di Immortalità, per cui "i morti restano nella memoria dei posteri". Secondo l'autore, ne esistono di due tipi: la piccola immortalità, ovvero "il ricordo di un uomo nel pensiero di coloro che l'hanno conosciuto"; e la grande immortalità: "ossia il ricordo di un uomo nel pensiero di coloro che non l'hanno conosciuto personalmente". Ma esiste una terza immortalità, chiamata ridicola: "è quella per cui un uomo desidera di essere immortale finendo per ridicolizzarne la memoria". Intorno a questo tema si liberano due storie che si intrecciano. La prima parte racconta di un sogno. Agnes, è la protagonista. Comincia a filosofeggiare sul senso dei gesti, del volto e dell'animo umano. Poi pensa al padre, alla sorella Laura che la imita, al marito Paul che non la ama, ai problemi del mondo negli anni Sessanta. Nella seconda parte, Kundera racconta di un aneddoto della vita di Goethe: le avance di Bettina Von Arnim nei suoi confronti. Kundera lascia dialogare Goethe con Hemingway e si interrogano sul senso dell'immortalità. L'opera continua a intrecciarsi con le due storie, nelle quali compaiono personaggi illustri quali Hemingway, Beethoven, Napoleone (con cui spesso Goethe interagisce), Hitler, Oriana Fallaci e molti altri. Lo stesso Kundera appare più volte nel suo stesso romanzo. Lui è il narratore che sfonda la quarta parete e dialoga con i personaggi. Un'altra attenzione è data da Kundera al suo personalissimo concetto di Homo sentimentalis. Per l'autore, si intende un uomo che ha innalzato i sentimenti a valori. In lui vince la tendenza a ostentare i suoi sentimenti. Ciò avvenne presumibilmente in Europa, intorno al dodicesimo secolo, con il Dolce stil novo, ovvero la trasformazione del sentimento in valore. Il Cervantes di Don Chisciotte ne è il massimo rappresentante. La sesta parte, a detta dello stesso Kundera, è la storia erotica più bella che abbia mai scritto. L'intreccio delle storie e la facilità del linguaggio con cui Kundera si esprime, è ciò che caratterizza questo autore.
Bello ma noioso. Scorre più lentamente della bava di lumaca. Non aggiungerò altro. Affronta bei temi e offre spunti interessanti. Però noioso, troppo. Mi ha mandato in blocco.
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