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Da questo romanzo, il film diretto da Francesco Maselli, con Tomas Milian e Claudia Cardinale.
«Il libro che segna nella nostra letteratura narrativa l'atto definitivo di morte del buon senso borghese» – Edoardo Sanguineti
«Nell'acqua distillata della nostra letteratura, Moravia gettò l'aspra storia del suo primo libro, una storia si direbbe più ispirata che pensata, perché l'autore stesso non si rese subito conto di aver scritto il primo libro esistenzialista» – Alberico Sala
Quando Alberto Moravia cominciò a scrivere questo capolavoro, nel 1925, non aveva ancora compiuto diciott'anni. Intorno a lui l'ltalia, alla quale Mussolini aveva imposto la dittatura, stava dimenticando lo scoppio d'indignazione e di ribellione suscitato nel 1924 dal delitto Matteotti e scivolava verso il consenso e i plebisciti per il fascismo. Il giovane Moravia non si interessava di politica, ma il ritratto che fece di un ventenne di allora coinvolto nello sfacelo di una famiglia borghese e dell'intero Paese doveva restare memorabile. Il fascismo eleva l'insidia moderna dell'indifferenza a condizione esistenziale assoluta.
“Gli indifferenti” è un’opera che cattura sin dalla prima riga, un testo che non si può fare a meno di leggere, una storia che attrae e respinge al tempo stesso, ma che ogni lettore desidera scoprire come andrà a finire. È questo il romanzo com cui Alberto Moravia, uno tra gli autori più significativi del Novecento italiano esordisce. Il suo è uno stile semplice, lineare, coerente con numerosi rimandi ad opere passate (dalla tragedia greca all’Amleto di Shakespeare) e ad altre più recenti (l’Ulisse di James Joyce). La trama ruota intorno ad una famiglia borghese, quella composta dalla madre Mariagrazia, dal suo amante Leo e dai due figli, Carla e Michele. Questi ultimi sono completamente incapaci di reagire alla disfatta economica e morale in cui la loro famiglia versa. Carla infatti intraprende una relazione segreta con Leo, mentre Michele, personaggio fortemente ambivalente, sempre combattuto tra l’agire secondo verità o secondo interesse, inizia una frequentazione con Lisa, una donna matura, amica della madre ed ex amante di Leo. Ella gli rivelerà la natura dei rapporti tra l’uomo e le due donne, senza scatenare in lui nessun tipo di reazione impulsiva. La volontà da parte del giovane di punire l’uomo è successiva e scaturisce da un dovere sociale, non da un vero sentimento di rabbia e riscatto. Emblematico è proprio il passo in cui Michele si dirige a casa di Leo con l’intenzione di ucciderlo (con un’arma scarica). L’incidente diventa simbolo della cronica incapacità del ragazzo di volere davvero qualcosa e di agire di conseguenza. Quanto a Carla, che si concede all’uomo per noia e per un sentimento di ribellione nei confronti della madre, non si rende conto di compiere a sua volta il proprio destino di indifferente donna borghese, incarnando una "nuova" Mariagrazia. L’opera si conclude con il ballo in maschera a cui madre e figlia partecipano. Qui la maschera (richiamo pirandelliano) esprime tutta l’indifferenza e l’apatia dei personaggi che la indossano.
“Gli indifferenti” è uno di quei romanzi scomodi che non ti fanno sentire rappresentato, ma ti costringono a metterti in discussione perché i personaggi che lo abitano sono come specchi in cui scorgere i tratti più meschini e deprecabili dell’animo umano: la gelosia ossessiva, l’invidia, la libidine fine a se stessa, il materialismo, l’insoddisfazione, la disperazione senza rimedio, l’indifferenza. L’idea di Moravia era di unire le forme stilistiche del romanzo e della tragedia; infatti, la vicenda si svolge nell’arco di appena un paio di giorni e le scene scivolano l’una nell’altra in modo fluido, proprio come se i personaggi si avvicendassero sul palcoscenico. Ciascuno di loro ha una psicologia ben delineata e una prospettiva differente sulla realtà - spiegate ancora meglio nel racconto in appendice “Cinque sogni”, in origine concepito come un capitolo del romanzo: da un lato tre adulti puerili e opportunisti e dall’altro due giovani rinunciatari e angosciati (che quasi addolorano venendo meno, in essi, il grottesco), che mettono in scena l’ipocrisia del mondo borghese, quella da “due pesi e due misure”, delle condanne generali e delle assoluzioni personali, quella che scaturisce dal costruire una realtà fondata sui non detti; tutti e cinque i personaggi pensano delle cose, ma ne dicono delle altre, recitano, fingono, obbedendo alle convenzioni sociali della classe cui appartengono, e il giovane Michele, pur nella sua indifferenza, è forse il solo ad essere consapevole di tutto questo e a soffrirne. I pensieri e i tumulti interiori dei personaggi si alternano alle poche ma bellissime descrizioni degli ambienti, caratterizzate da giochi di luce e dal ricorrente fruscio della pioggia, grazie ad una prosa articolata ed elegante che mi ha fatto amare molto questo romanzo anche dal punto di vista stilistico.
con un esordio così, moravia non poteva diventare altro che uno dei più grandi scrittori italiani del secolo scorso
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