Levkas
Ci si trova innanzi alla poesia del 'rema' continuo, intensificazione del significato senza pause né concessioni; le lingue che Pravo utilizza, inscenando una maiestatica intrusione dell'una dentro la vagina dell'altra, (un'infibulazione linguistica, mi permetto di dire) sono l'unico coagularsi possibile per oltrepassare, anche solo in un breve cenno - un giro di sfera infinitesimo - il suo stato di mezzano. Parlando tutte le lingue possibili procediamo (a spirale) verso l'Eden, perché autoaffermiamo la parola come assoluto non-essere che combatte, come "magistero al contrario": mi sembra di udirlo con nettezza da Pravo nei momenti in cui accosto in silenzio l'orecchio alla sua pagina. La sconcia ziqqurat di pronunce frammiste, di entelechie semantiche, di citazioni, sorge tra le balze irrorate dal vespro purgatoriale, tra un canto e la contusione in gola causata dal medesimo; uso questo termine non per caso: mi piace definire 'doloroso' il modo in cui il verso di Pravo si spezza, tanto che ogni enjambement, più che un'inarcatura, consegna l'idea di una frattura scomposta. Noi stiamo vivendo, ed espiando allo stesso tempo. Non solo: stiamo chiedendo udienza. (dalla Prefazione di Diego Riccobene)
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Anno edizione:2024
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