(Kápolnasnyék, Székesfehérvar 1800 - Pest 1855) poeta ungherese. Membro del gruppo raccolto intorno all’almanacco «Aurora» (1822), che segna l’inizio del romanticismo ungherese, divenne subito popolare con il poema storico-mitologico La fuga di Zalán (1825), accolto come un manifesto della gioventù magiara in lotta contro l’Austria. Scrisse poi varie opere di soggetto fiabesco, tra cui la favola scenica Csongor e Tünde (1831). Divenuto direttore della rivista «Athenaeum» e figura preminente della vita letteraria del suo tempo, scrisse drammi storici, poemetti epici (I due castelli vicini, 1831) e drammatici (Nozze sanguinose, 1833; Il bano Maròt, 1834) e soprattutto liriche patriottiche, tra cui il celebre Appello (1836, rassegna delle eroiche figure della storia nazionale, secondo inno ufficiale ungherese), le poesie dedicate alla Polonia (La statua vivente e Il paese perduto) e il ditirambo Il vecchio zigano (1849). Agli inizi poeta delle atmosfere notturne e della morte, V. andò assumendo nella maturità la statura di poeta-vate della sua nazione e di tutti i popoli oppressi; ma ripiegò nuovamente su un cupo pessimismo dopo il fallimento dei moti del 1849 (nel 1848 era stato eletto deputato), dando espressione a una concezione tragicamente severa della vita e della storia.