I temi della letteratura araba contemporanea, ahimè, sono spesso cupi, e per forza, date le contingenze. Tuttavia ci sono libri, come questo, che sanno raccontare storie di oppressione calibrando gli argomenti e filtrandoli con ironia. Ottima la traduzione, fluente e ricco l'italiano, finalmente si chiede anche un po' di partecipazione al lettore e non viene spiegato tutto. Io alla fine l'ho comprato perché mi piaceva la copertina.
Rapsodia irachena
Il 23 agosto 1989, il ministero dell'Interno iracheno viene informato che nel corso di un inventario eseguito nella sede del Comando centrale della Polizia di Baghdad è stato trovato un manoscritto in un archivio. Scarabocchiato a matita, risulta essere il diario di un giovane detenuto di nome Furat. Dal manoscritto scopriamo che era uno studente di Lettere e poeta alle prime armi, dotato di uno spirito sardonico e corrosivo, arrestato un bel giorno di aprile mentre guardava il cielo di Baghdad seduto su una panchina ad aspettare Arij, la sua fidanzata. Furat rievoca l'incubo delle carceri del regime e, in parallelo, la sua vita quotidiana fino all'arresto: l'adolescenza, la famiglia, l'università, la dittatura, la guerra Iraq-Iran, le partite di calcio allo stadio, i primi amori. Racconta di un Iraq impossibile, dove il regime è ovunque, nella vita pubblica come in quella privata, dell'isteria del dittatura baathista, così simile al nostro fascismo. Solo nel finale, ambientato in una Baghdad apocalittica e deserta, sembra profilarsi una speranza, ma forse è solo un'illusione, un miraggio. Un ritratto emozionante della vita nell'Iraq di Saddam Hussein, una miniatura delle sofferenze degli iracheni, dai baathisti a Bush.
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Anno edizione:2010
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GIACOMO LONGHI 24 dicembre 2010
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