Paolo Sarpi è stato uno storico e scrittore politico italiano. Frate servita, fu a Mantova come teologo del duca Guglielmo Gonzaga, poi a Milano (dove collaborò con Carlo Borromeo), a Venezia, a Padova, dove si laureò in teologia nel 1579. Coltivò anche gli studi scientifici e divenne amico di Galileo. Investito di incarichi di rilievo all’interno dell’ordine servita, si stabilì per alcuni anni a Roma (1585-88), venendo a diretto contatto con l’ambiente della curia pontificia, di cui poté constatare l’irrigidimento dottrinale e l’accentramento burocratico. Tornato a Venezia, vi restò sino alla morte. Episodio centrale della sua vita fu la partecipazione appassionata e determinante al conflitto fra Venezia e Paolo V, negli anni 1605-07, originato dal rifiuto che la repubblica oppose alla richiesta del papa di consegnare al tribunale ecclesiastico due preti rei di delitti comuni: S. fu consigliere del governo veneziano, a cui suggerì la condotta politica, e intervenne con scritti polemici, sostenendo l’autonomia, sul piano giuridico, dello stato rispetto alla chiesa. Anche quando la città venne colpita dall’interdetto (1606), S. non si stancò di insistere sulla illegittimità delle pretese ecclesiastiche, con scritti come il Trattato dell’interdetto di Paolo V nel quale si dimostra che non è legittimamente pubblicato (1606, in collaborazione con altri teologi), il Trattato della immunità della chiesa (tradotto in latino e pubblicato, nel 1622, col titolo De iure asylorum), l’Apologia per le opposizioni fatte dal cardinale Bellarmino ai trattati et risolutioni di G. Gersone sopra la validità delle scomuniche (1606), le Considerationi sopra le censure della santità del papa Paolo V contra la Serenissima repubblica di Venetia (1606) e, più importante di tutti, la Istoria particolare delle cose passate tra il sommo pontefice Paolo V e la republica di Venetia (postumo, 1624).Furono opere di vasta risonanza, che diedero a S. fama europea, anche e soprattutto dopo la scomunica papale, giunta nel 1607 (nello stesso anno alcuni sicari tentarono di ucciderlo: sono accertate in merito le responsabilità della Santa Sede). Lo scontro con la curia romana si connetteva per S. a un programma politico tendente a sovvertire il predominio asburgico e a promuovere un’alleanza antimperiale e antispagnola che vedesse Venezia collegata con la Francia e con i protestanti inglesi, tedeschi, olandesi. Ma, nonostante i contatti avviati con i riformati d’oltralpe, di cui sono documento le Lettere ai protestanti (postume, 1635), egli non intendeva discostarsi dall’ortodossia: vagheggiando un ritorno alla «chiesa primitiva», egli era indotto a condannare il potere temporale, il processo di mondanizzazione del clero, la superiorità del pontefice sul concilio. Tutti questi «vizi» della chiesa egli vedeva riassunti ed esaltati dal gesuitismo e dal concilio di Trento: di qui il suo capolavoro, l’Istoria del concilio tridentino (pubblicata a Londra nel 1619 con lo pseudonimo di Pietro Soave Polano), acuta analisi delle vicende del concilio, viste nel loro intreccio d’interessi espliciti o impliciti, di discussioni dottrinali, di maneggi politici, e, insieme, disamina delle ragioni per le quali il pensiero della riforma aveva potuto diffondersi in vari paesi d’Europa. Tradotta in latino (1620), in tedesco (1620), in francese (1621), in inglese (1621), l’Istoria è considerata un modello di prosa antibarocca, austera, disadorna, d’impronta machiavelliana.