(Sulmona 43 a.C. - Tomi, Mar Nero, 17/18 d.C.) poeta latino.La formazione culturale, il successo letterario e mondano, la caduta Fu mandato a Roma giovanissimo dal padre, insieme al fratello, per studiare retorica e poi abbracciare la carriera politica. Si dedicò invece alla poesia; ma l’educazione retorica, che portò a termine, rimase un punto fermo nella sua cultura: O. fu il primo, infatti, ad applicare alla poesia, in modo dominante, le tecniche delle scuole di declamazione. Accolto nell’alta società augustea, vi condusse vita brillante e conobbe i maggiori scrittori del tempo: Orazio, Gallo, Properzio. Ricoprì cariche pubbliche poco rilevanti (triumvir capitalis, decemvir stilitibus iudicandis) e compì i tradizionali viaggi di istruzione in Grecia e poi in Egitto, in Asia e in Sicilia, che lo arricchirono di una vasta cultura ellenistica. A Roma si sposò tre volte in pochi anni: solo il terzo legame, con una donna nobile e colta, fu significativo e felice. Ma esso venne spezzato nell’8 d.C. da un decreto di Augusto che lo relegava, solo, a Tomi sul Mar Nero (presso l’odierna Costanza nella regione romena della Dobrugia). Oscure sono le vere cause del confino: O. parla di un carmen e di un error. Forse implicato in uno scandalo di corte, scontava più probabilmente in tal modo l’estraneità di fondo della sua poesia disincantata alla politica culturale di Augusto. Ad ogni modo, i suoi libri vennero tolti dalle biblioteche e bruciati in pubblico come immorali. Neppure l’imperatore Tiberio revocò il decreto di Augusto.Le opere erotiche O. aveva esordito ventenne nel circolo di Messalla con un canzoniere amoroso in distici, Amores, in 5 libri, pubblicato nel 20 a.C. e poco dopo rimaneggiato in tre libri, quelli tramandatici: sono poesie galanti (disposte con voluto disordine entro una calcolata simmetria formale) che aprono un lungo ciclo erotico, comprendente: le Eroidi (Heroides, ma il titolo originale, cambiato da Prisciano, era forse Epistulae), raccolta di fittizie lettere d’amore scritte da eroine della mitologia e della storia ai loro amanti; l’Ars amatoria in tre libri, composti nei primi anni dell’era volgare, una specie di summa erotica destinata alla società elegante della Roma del tempo, che fece di O. il suo interprete e il suo beniamino; i Rimedi d’amore (Remedia amoris), 407 distici pubblicati l’1 o il 2 d.C., dopo il secondo libro dell’Ars amatoria e analoghi ad essa nella finta e compiaciuta palinodia; e Dei medicamenti del volto (Medicamina faciei), breve prontuario di maquillage. Al medesimo periodo appartengono una tragedia, Medea, assai celebrata nell’antichità e andata perduta, e altre opere minori tutte perdute.I poemi della maturità Subito dopo, O. si accostò ai circoli di Augusto, e mise mano a opere più ambiziose: le Metamorfosi (Metamorphóseon libri) e i Fasti (Fasti). Le prime, iniziate attorno al 3 d.C., sono un poema epico in esametri, una vasta silloge in 15 libri delle trasformazioni che la tradizione mitografica gli offriva: dalla descrizione del Caos fino alla trasformazione di Cesare in astro e all’apoteosi di Augusto. O. si accostava così ai temi della propaganda contemporanea. Ma nonostante lo sforzo del poeta di creare un poema unitario, le Metamorfosi restano un’opera frammentaria, una sorta di arazzo affascinante in cui molta parte della letteratura greca e latina (Omero, i tragici, i poeti ellenistici, i poeti latini fino ai contemporanei) è utilizzata e rifusa con unità di stile, non di disegno. I Fasti sono un poema elegiaco (interrotto dall’esilio, anche se rimaneggiato a Tomi, e comprendente i primi 6 libri del piano originario in 12) destinato a narrare e a spiegare mese per mese le feste del calendario romano; lo scopo era anche quello di celebrare la Roma antica, in accordo con la volontà di restaurazione morale e religiosa di Augusto. Seguono le opere dell’esilio: il poemetto Ibis, un elenco di maledizioni in 322 distici, scritto in viaggio; i cinque libri delle Tristezze (Tristia), elegie scritte tra il 9 e il 12 d.C.; le Epistole dal Ponto (Epistulae ex Ponto), dedicate ad amici in Roma, in quattro libri, di cui tre terminati nel 12 e il quarto pubblicato postumo; il poemetto didascalico La pesca (Halieutica), di cui restano 134 versi, opera di dubbia autenticità. Nel corpo delle opere di O. sono compresi infine Noce (Nux) e Consolazione a Livia (Consolatio ad Liviam), riconosciuti non suoi.Pathos e valori individualistici O. è il testimone più importante e più tipico della seconda metà del regime augusteo, non solo più giovane ma nettamente diverso dagli altri grandi poeti augustei, quali Virgilio e Orazio.Le guerre civili sono lontane, e il significato della pacificazione portata da Augusto all’impero e del suo sforzo di restaurazione dei valori politici, civili e religiosi dell’età repubblicana gli è molto meno presente. Di fronte a questo programma, O. fu semplicemente conformista; la stessa antica gloria di Roma è vista da lui con condiscendenza. Ai suoi tempi, a Roma, la letteratura entra nei salotti e si fa spettacolo, rito intellettuale. In tutta l’opera di O., poeta della società mondana, sono evidenti l’edonismo letterario, l’eleganza, il virtuosismo tecnico, conquiste di una nuova estetica, sia nella parte apparentemente in linea col programma augusteo (Fasti), sia in quella che lo nega clamorosamente (Ars amatoria ecc.). L’opera di O. manca di profondità di pensiero e di autentica sensibilità per la politica; il mondo greco gli offre un ricco apparato di dottrina, ma il vero oggetto è la Roma contemporanea dei salotti e della vita elegante del foro, e il linguaggio è quello destinato a un’élite raffinata, fluido e impersonale: si presta alle mimesi di moda, ma è anche capace di evocare situazioni patetiche e di indugiare con abilità sulla psicologia femminile, rivelandosi in ciò il miglior continuatore della letteratura ellenistica. Anche l’elegia triste dell’esilio, non priva di note sincere e dolenti, denuncia una mancanza di valori di fondo: O. specula sugli umori, sulla possibilità di compiacere l’imperatore e di persuaderlo, e alla sua morte sostituisce i versi dedicatigli nei Fasti con altri diretti al principe designato Germanico.Fortuna di Ovidio L’opera di O. è anche e soprattutto la storia ininterrotta di un’esplorazione, sempre più penetrante e sofisticata, del cuore umano, condotta con inesauribile fecondità espressiva. Così intesa, essa non ha mai cessato di esercitare una suggestione e una forza enormi. Né va sottovalutato il virtuosismo linguistico e metrico di O.: con lui il distico elegiaco giunge a risultati raramente superati. O. ebbe largo seguito sia nella tarda antichità (lo provano anche i falsi a lui attribuiti) sia nel medioevo, quando egli fu considerato secondo solo a Virgilio. La sua fortuna continuò, dall’umanesimo-rinascimento, all’interno di tutta la tradizione classicista e anche anticlassicista; dopo un’eclisse nel sec. XIX, nella seconda metà del ’900 ha riscosso l’interesse della critica strutturalistica e semiologica.