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Anno edizione: 2007
Anno edizione: 2016
Anno edizione: 2016
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David Foster Wallace riesce a misurarsi con tutto. Qualcuno lo chiamerebbe post-modernismo, altri contemporaneo, io lo classificherei più che altro sotto la voce "scrittore geniale coi contro-coglioni". In questo libro del 1999 incontra una serie di personaggi le cui storie sono, né più né meno, quelle del mondo in cui viviamo e le racchiude sotto il titolo di "intervista" per esorcizzarne il pensiero, come se noi lettori fossimo in prima persona l'intervistatore che ascolta esterrefatto i racconti di questi uomini-bestia e se ne sente preda. Sì perchè è proprio questa la sensazione che ti regala questa lettura: l'essere sopraffatto dagli eventi, dalle sensazioni che nelle loro vicende provano i protagonisti, da quelle specie di "morali" a tratti angoscianti che Wallace, da attento osservatore quale è, ne ricava. Sono raccolti schizzi di classe in questo libro. Passa da acuti spunti di verità come in Una storia ridotta all'osso della vita postindustriale alla descrizione maximalista di un ragazzino intrappolato nell'alto di un trampolino il giorno del suo compleanno. Wallace riesce ad incantare nelle due interviste lunghe di Mondo Adulto e Brevi interviste con uomini schifosi (l'ultimo, per intenderci) nelle quali ci racconta i problemi sessuali rispettivamente di un giovane marito e di una giovane "Mangia Macrobiotico" con la capacità di convincerci, motivandoci, che alla fine i casi umani non sono in realtà coloro che hanno subito una violenza o vivono la loro sessualità in maniera infantile, ma bensì chi li guarda e li giudica con il cinismo tipico dell'età contemporanea. Ma dove Wallace raggiunge l'apice è nell'ironia beffarda e pungente che si scorge dalla lettura dei racconti: dal giocarsi ai dadi la custodia del figlio in Ancora un altro esempio della porosità di certi confini (vi) al sarcasmo sulla carriera dello scrittore in Ottetto. Leggendo ed appassionandomi sempre di più alla letteratura di Wallace mi sono convinto che la scrittura fosse per lui realmente una liberazione, che avesse come una morbosa voracità nello scrivere che lo portava ad essere dipendente dai suoi personaggi, immergendosi ogni volta nelle loro sembianze. I racconti servivano a lui, come una forma di redenzione per la crudeltà del mondo in cui stava vivendo e che, con una lucidità disarmante, ahimè aveva capito.
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