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Aderendo all’iniziativa dell’editore mi sono assunto l’impegno di recensire anche questo libro e solo per questo sono arrivato all’ultima pagina. Sicuramente non è il mio genere ma, fermandomi ad una valutazione asettica, ho trovato la lettura ostica. L’uso di un io narrante che parla un po’ in prima persona, un po’ in terza per passare alla seconda, quando il soggetto diventa “l’altro” più che aiutare il lettore tende a confonderlo. Un linguaggio semplice (spesso al limite del semplicistico) messo al servizio di una narrazione (se così si può chiamare) di situazioni surreali, deliranti, oniriche: dove presente passato e futuro si accavallano e sogno e realtà si mescolano al in un amalgama torbido. Non conosco e non mi è chiaro l’intento del giovane autore nella scelta della forma e del contenuto, che sono sicuramente tra loro coerenti; lascio lettori con gusti meno “classici” valutare un’opera che potrebbe anche piacere, forse di più se fosse sottoposta ad un editing più approfondito. Io ho avuto la tentazione di fermarmi a pag. 31 dove Takuan dice: “Questa notte ho incendiato la tua sfera. Non l’ho fatto perché Ambrosia è impazzita. Non l’ho fatto per spingerti a uscire dal tuo guscio, per punirti, per stimolarti o provocarti. L’ho fatto perché mi faceva schifo. Era inutile, totalmente senza senso. Dipingi senza sapere a chi ti rivolgi. Il tuo gusto lo sprechi per dire ovvietà.” Sostituendo a “sfera” “libro” e a “dipingi” “scrivi” si ha il mio pensiero sul libro a quel punto… poi sono arrivato in fondo.
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