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Seguire la filosofia di Benjamin è un compito da flâneur, quale “esploratore degli interstizi” della topografia cittadina. Occorre rovistare negli anfratti del suo pensiero, attenti a quelle cesure salvifiche in cui la complessione melanconica, propria del rimuginatore al cospetto della catastrofe imminente in cui il mondo storico-sociale è prossimo a precipitare, può trasformarsi in sguardo angelico e redentivo. Questa inversione dialettica, capace di distillare dal lutto la dimensione utopica, è tanto l’origine della filosofia di Benjamin, quanto la speranza di ricomposizione in essa riposta in un estremo gesto rappresentativo, allegorico in senso pieno. In fondo, per Benjamin la redenzione non è che la “liberazione da una rappresentazione (drammatica)”: una “penetrazione filosofica del mito”, una pantomima ironica – allegorica e distruttiva – di quel mondo mitico che è alla base di ogni forma secolare del diritto e della giustizia. L’incantesimo liberatorio della fiaba, capace di convertire il male nel bene, restituisce il senso benjaminiano di questo ribaltamento del lutto nella speranza.
Gianluca Cuozzo insegna Filosofia teoretica all’Università degli Studi di Torino. Ha dedicato i propri studi a Karl Löwith, Vincenzo Gioberti, Nicola Cusano, nonché al nesso tra dottrine artistiche e riflessione filosofica tra Quattrocento e Cinquecento (Leon Battista Alberti e Albrecht Dürer). Fra le sue più recenti pubblicazioni si ricordano: Dal “panteismo ontoteistico” alla “teologia infinitesimale”, Torino 2007; Le due Torino. Primato della religione o primato della politica?, a cura di G. Cuozzo e G. Riconda, Torino 2008.
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