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Ho scoperto il libro tramite il film. Raramente mi capita, ma in questo caso ho trovato più toccante il film del libro (per gusto personale, ovviamente!). Tuttavia, è una piacevole lettura che offre anche spunti di riflessione. Sia per il tema che per il linguaggio usato lo trovo adattissimo soprattutto per gli adolescenti.
In questo romanzo, pubblicato postumo ed incompleto (prima della deportazione, la scrittrice aveva terminato solo due delle cinque parti pensate nel progetto iniziale), l’autrice racconta l’esperienza dell’invasione tedesca della Francia vista dagli occhi di diversi personaggi, tutti ben caratterizzati: c’è l’artista a cui tutto è concesso e la coppia di impiegati bancari con la loro vita monotona, c’è la famiglia nobiliare dei dintorni di Parigi e la famiglia di campagna con i figli e il marito al fronte. Come in un film moderno, l’obiettivo si sposta tra i vari personaggi, dalla città alla campagna, senza soluzione di continuità, aggiungendo sempre maggior pathos man mano che l’invasione diventa la normalità. Il rapporto tra la popolazione e l’invasore nemico è molto ben raccontato e fa da sfondo alla parte più emozionante del libro, in cui le famiglie si allargano e gli invasori vengono man mano integrati nella vita della comunità. Quest’opera permette di analizzare e conoscere meglio gli anni più decisivi dell’Europa con gli occhi di chi l’ha vissuto in prima persona. Non più patti e battaglie ma la vita quotidiana che continuava malgrado tutto.
Avevo già letto qualcosa della Nemirovsky, so che scrive magnificamente e che i suoi personaggi tendono ad essere una rappresentazione della meschinità umana , ma in questo libro bisogna aggiungere il contesto bellico ad aggravare le nefandezze di cui gli uomini si macchiano. Ancora più deprimente è che l’autrice aveva un progetto più ampio: come per una sinfonia doveva scrivere cinque movimenti, ma noi abbiamo solo i primi due, perché la Nemirovsky è stata deportata dai nazisti ad Auschwitz, e vi è morta. In Suite francese leggiamo dell’occupazione tedesca di Parigi e troviamo un racconto corale con tanti personaggi le cui vicende a volte si intrecciano. Charlotte Pericard, la madre borghese: “con tutta evidenza per lei il Padreterno aveva riservato un destino da rossa…Ma all’ultimo momento evidentemente la divina provvidenza aveva avuto un ripensamento o aveva ritenuto che una chioma sfolgorante mal si addicesse all’irreprensibile moralità e al prestigio…” (queste descrizioni mi piacciono moltissimo, che brava l’autrice!) Arlette, l’amante di un uomo importante, che: “aggrottando leggermente le sopracciglia, si rimirò le unghie. La vista di quei dieci specchietti scintillanti sembrava favorire in lei la meditazione astratta…” e infatti la ragazza deve sapersela cavare da sé ed è brava a farlo. Direi che questo è uno dei molti punti di forza del racconto, la descrizione di ogni protagonista con spesso pochi cenni ma in grado di aprire tutto un mondo su chi sia quella persona o su chi potrà essere… Bello e incompiuto.
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