Si può raccontare il Male? Nessuno vuole ascoltare, a meno che abbia costruito una capacità specifica ad accettarlo come parte della vita. Si può però raccontare una storia: un giovane militare, dopo l’armistizio, decide di “non optare” per collaborare con gli occupanti Tedeschi Nazifascisti. Così facendo si condanna al lager. E lì sopravvive perché sa disegnare, il Maresciallo lo nota e lo fa trasferire a pulire le cucine. Si salva dal lavoro schiavo e torna a casa. Come molti reduci, dal campo non esce mai: conduce una vita in cui sopravvive giorno per giorno. Ha un solo amico, Mario, conosciuto in un negozio di cornici, con cui discute di arte. Gli racconta quasi en passant di essere stato in un lager. L’amico lo aiuta con qualche espediente, capisce che il suo cervello “non è tornato” e quando lui muore, nel 1998, riceve 400 tavole: l’estremo dono di Gaetano Lazzarini. Guardandole, Mario Bernardinello si accorge che sono un inno alla vita che rinasce, ma anche un racconto di dolore di chi ha conosciuto il Male nella sua forma più incomprensibile ed inaccettabile. Raccoglierle e pubblicarle, ci dice la coautrice Paola Faggella è dar voce a chi è stato testimone e ha imparato che “il mio bisogno di far sapere si oppone al bisogno degli altri di dimenticare”, a chi dentro questa memoria si è perso. Eppure è un ricordo di infanzia che la spinge a cercare di ricostruire questa storia, i libri di Primo Levi che suo padre le ha dato da leggere giovanissima e che forse hanno costruito quella competenza per cui si può non girare la faccia. Una piccola storia, lo sottolinea Andrea Bienati, docente di storia della deportazione, ma anche una piccola perla preziosa: ci insegna che il libero arbitrio resiste. Gaetano Lazzarini, come altri 600.000 militari, tutti giovani cresciuti a suon di propaganda nel regime del pensiero unico, hanno fatto una scelta di resistenza, hanno deciso di liberare la mente, consegnandosi al lager.
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