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Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2023
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Già il titolo del saggio ci indica che qui viene affrontato uno dei temi tipici di Aby Warburg: quello della Ninfa- e il fatto che Didi-Huberman affronti questo argomento ci sembra del tutto naturale, se si pensa all’importanza della figura di Warburg per lo studioso francese (autore del noto “L’immagine insepolta” –pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri- testo fondamentale per quel che riguarda gli studi sul fondatore dell’ Iconologia). Didi Huberman, in queste pagine, cerca la Ninfa nell’arte e nell’estetica contemporanee, per capire quale sia stato il suo destino nella nostra epoca storico artistica- ricerca legittima se ripensiamo a quanto lo studioso afferma, con la sua bellissima prosa, in merito a ciò che la Ninfa rappresentò per Warburg: “Eroina molteplice dell’estraneità inquietante, ci dà in dono le somiglianze nascoste, ove, improvvisamente,tutte le epoche danzano insieme e tutte le possibili incarnazioni si mescolano come in un sogno” . Ovvero: la Ninfa ha la forza di ricomparire del tutto inaspettatamente,anche in forme nascoste o comunque molto diverse da quella originaria,in epoche cronologicamente lontane da quella che l’ha generata- tra le altre l’età contemporanea,per l’appunto. Non solo Warburg, ma anche Walter Benjamin, perché la storia moderna della Ninfa è la storia di una duplice caduta -quella sua e del suo panneggio- che diventa un aspetto significativo della più generale perdita dell’aura: “Fuga delle Muse, caduta di Ninfa o declino dell’aura: è tutt’uno.” E così, dalle fotografie di Moholy- Nagy fino a quelle di MC Queen, ci inoltriamo nel ventre della città moderna, coi suoi mendicanti agli angoli delle strade e i suoi strofinacci vicino ai tombini (così altri nomi diventano indispensabili per Didi-Huberman- quello di Baudelaire, innanzitutto): ecco cosa rimane della Ninfa e dei suoi panneggi nella contemporaneità. Ma la caduta della Ninfa non genera –scrive l’autore- “pura assenza: l’assenza è sempre impura. Impura, cioè ricca, delle sue presenze psichiche e delle sue tracce materiali,dei suoi fantasmi e delle sue vestigia che,un giorno o l’altro, ci appariranno sotto qualche forma di panneggio, di spiegazzatura, di piega”. E’ insomma un altro dei grandi temi warburghiani, quello della Sopravvivenza, a fare da filo conduttore alla ricerca del destino moderno della Ninfa. Ed è a questo punto che un altro tema viene a galla: quello dell’Informe- e di conseguenza il nome di Georges Bataille- perché “le cose che si trasmettono nelle sopravvivenze [fenomeni ben distinti dalle rinascenze] diventano, o ridiventano, sempre più impure”, esistono unicamente “nella vocazione a decomporsi sempre più”. E allora perché dare agli stracci, resti di un panneggio antico ormai diventato rifiuto, il valore di vero e autentico oggetto storico? “Perché essi manifestano- continua Didi-Huberman- nel loro movimento di decomposizione, uno stato intervallare tra due stasi dell’oggetto: ancora umano […] e già informe.[…] Ancora cosa determinata e già materia indeterminata”. Ed è così che lo studioso ricongiunge a unico principio la “iconologia dell’intervallo” di Warburg e le posizioni di Benjamin. Il capitolo finale, tutto incentrato sullo studioso amburghese è splendido,e forse,da un punto di vista strettamente metodologico,è il più significativo del libro. Nel suo Atlante della Memoria, Warburg aveva già cercato le tracce della Ninfa nella contemporaneità, e aveva trovato i suoi resti nella giocatrice di golf e,scrive Didi-Huberman ,“più in basso nella materia sociale, cioè nell’archeologia dell’immemorabile contemporaneo”- la pubblicità di una carta igienica, tra le altre cose. La scelta di queste connessioni,da un punto di vista strettamente storico, è da parte di Warburg un atto arbitrario; ma è un atto che ci insegna una verità più profonda:”è il funzionamento epidemico delle immagini, al di là delle frontiere cronologiche e geografiche,che ci viene suggerito”- è sempre Didi-Huberan,che evidentemente la lezione l’ha capita a fondo,a spiegarcelo. Ed è ancora lui, in questa splendida conclusione del suo libro, a parlarci della necessità di chiudere gli occhi, e conseguentemente della storia dell’arte intesa come sapere poetico in cui lo storico manipola le immagini ed è da esse manipolato. Conclusa la lettura,l’eredità warburghiana apparirà quanto mai viva,e ancor più affascinante nella sua complessità.
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