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Anno edizione: 2020
Anno edizione: 2019
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Breve e intenso. La storia di un uomo senza talenti che si trasforma in un ottimo soldato
“Otto raccolse quegli occhi, li tastò con curiosità e li portò con se nella taverna” Possono le circostanze influenzare il futuro di un nascituro? Sembrerebbe di si se il piccolo Otto fu concepito, come ci descrive Marai, nella notte stessa in cui i genitori avevano assistito inermi all’uccisione di una domatrice, Miss Bellini, sbranata da un orsa in uno spettacolo circense: “Quella notte fu concepito Otto. Nacque di dieci mesi e con i denti. Il parto costò la vita alla madre ed il misero posto di quella donna silenziosa e gracile fu occupato da una balia (…) abbastanza coraggiosa da accettare l’incarico di allattare quel pargolo di sei chili” (pp.16-17). Bellissimo il simbolo dei denti, messi in primo piano dall’autore, quasi fossero un presagio della sua futura personalità. Siamo nella Germania dei primi del Novecento, negli anni a cavallo della Grande Guerra, ed il romanzo viene ambientato tra una cittadina di provincia (nel “margraviato del Brandeburgo nel distretto di Teltow”, p.9), di cui Marai non farà mai il nome, e Berlino. Otto, appartenente ad una famiglia umile di sellai, viene descritto come un bambino grasso, svogliato nello studiare (“le uniche che gli davano vero piacere erano le ore di canto, quando poteva dar sfogo alla sua voce. Non sapeva cantare ma urlare gli procurava una visibile soddisfazione che lo faceva cadere in preda a una sorta di ebbrezza sfrenata”, p.20) e, sostanzialmente, privo di qualità. C’è però un prima e un dopo nella sua vita. Un episodio, accaduto tra i 9 e 10 anni, innescherà la miccia della sua perversa personalità, già latente. Otto vede un macellaio all'opera: “la scure scintillava al sole, come gli occhi della mucca, che egli scrutò da vicino e sulla cui cornea si rifletteva placidamente la rimessa, la taverna, i carri e la sua stessa immagine. L'istante in cui vide balenare la scure e subito dopo l'animale stramazzare a terra (...) si impresse in lui come il ricordo di una sorta di gioia trionfale. (…) il fatto in sé, l’evento dell’uccisione, gli apparve come qualcosa di assolutamente positivo, come una maniera per sistemare una situazione una volta per tutte” (p.23). Da quel momento in poi non avrà più un temperamento equilibrato se Marai ce lo descrive di “intransigente prepotenza” (p.25) con i coetanei, anche se “non era un tipo manesco” ed “aveva piuttosto un temperamento mite e apatico” (p.27), a parte l’episodio del ferimento di una bambina di 9 anni (“bisognava abbatterla era così malandata”, p.27). Cresciuto ce lo descrive senza “vizi, semmai inclinazioni negative, ma non certo malvagie” (p28). L’unica sorta di “legge” che conosce è la devozione verso il potere in questo caso incarnato nella figura dell’imperatore. Ereditata dal padre (“l’ossequio per l’autorità pervadeva tutto il suo essere”, p.19), si esprime con un atteggiamento reverenziale, una sorta di umiltà e deferenza che si manifesta davanti al suo ritratto. Si sente finalmente a casa solo quando, divenuto adulto, decide di fare il macellaio: “(…) si comportava come chi è giunto finalmente a casa dopo aver errato senza meta per strade sbagliate” (p.42). Con l’avvento della guerra, abbandonata la sua professione e divenuto soldato, riesce a far di nuovo emergere la sua perversa personalità caratterizzata da istinti sadici e da una furia assassina senza eguali: un secondo nuovo salto di “qualità” nella sua devianza, rispetto al primo avvenuto nell’infanzia, caratterizzerà questa fase della sua vita. Passa, infatti, dagli animali agli esseri umani. Gli piace uccidere con la baionetta, simile al coltello con il quale in passato squarciava gli animali: “era noto (…) per la propensione alla brutalità (…) pochi erano abili quanto lui nel <<trattamento radicale>> riservato ai villaggi condannati a morte” (p.63). Nel macello per inclinazione, durante la guerra per commissione, nella vita quotidiana per necessità … la morte senza soluzione di continuità.
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