Erano anni che non leggevo un romanzo italiano così dettagliato, con una tale profondità, non solo emotiva ma anche storica. Malbianco, infatti, racconta una storia che si intreccia con la Storia e lo fa senza sembrare un'invenzione, cosa che invece spesso i romanzi di ricostruzione fanno. Marco Petrovici, il narratore di questa vicenda, si trova di fronte alla necessità di capire le radici della sua famiglia, le radici dei silenzi che la circondano ed è ossessionato dall'idea di togliere la patina bianca che si è depositata sopra la loro storia, in particolare sopra la vita di suo nonno Demetrio e dello zio Vladimiro. La ricerca lo porterà nei traumi della seconda guerra mondiale, a cercare informazioni sulla disfatta in Russia dell'esercito Italiano nel 1943, a immaginare cosa potessero provare i detenuti militari e cosa sia avvenuto dopo l'8 settembre. A tutto questo si frappone il cuscinetto del tempo: sono passati ottant'anni dalla fine della guerra, Demetrio e Vladimiro non ci sono più, e i traumi, i silenzi e le omissioni, sono ricadute sulla stirpe Petrovici. Il tentativo di risalire questo intreccio è da un lato avvincente, dall'altro doloroso. In ogni caso davvero molto bello. Il libro si compone di quattro sezioni più una bibliografia ragionata che rende tutto più limpido e valorizza al massimo l'enorme lavoro di Mario Desiati nella costruzione letteraria di questa storia.
Malbianco
Dall'autore di Spatriati, Premio Strega 2022. I segreti e i silenzi avvolgono i protagonisti di questa storia come il malbianco infesta il tronco degli alberi. Tra i Petrovici, infatti, ci sono da sempre piú fili nascosti che verità condivise. Ma le domande del figlio che si è smarrito, e per questo si volta a guardare le proprie orme, diradano via via le nebbie di una memoria famigliare lacunosa e riluttante. Se «di certi fantasmi ci si libera soltanto raccontandoli», prima di tutto bisogna conoscere il passato da cui proveniamo. Dai boschi di Taranto al gelo dei campi di prigionia tedeschi, Mario Desiati torna con un grande romanzo che indaga il rapporto tra l'individuo e le sue radici, il trauma e la vergogna, interrogando con coraggio il rimosso collettivo del nostro Paese. Marco Petrovici ha quarant'anni e vive a Berlino, quando all'improvviso, un giorno, inizia a svenire. Per scoprire l'origine di questi suoi disturbi e ritrovare un po' di pace, decide di tornare in Puglia, dai genitori ormai anziani che vivono immersi in un bosco di querce e lecci nella campagna tarantina. Schiacciato dai sensi di colpa per non essere il figlio che Use e Tonia speravano, si ferma nella casa di famiglia per occuparsi di loro, ma allo stesso tempo si convince che le cause del suo malessere vadano cercate nella memoria sepolta di quel loro cognome cosí strano. A partire da un ricordo d'infanzia dai contorni fumosi - un balordo un po' troppo famigliare che suona il violino sotto la neve di Taranto -, con l'aiuto di zia Ada, della letteratura e della storiografia, della psicoterapia e di un diario ritrovato non per caso, Marco cura il «malbianco» che opprime la sua famiglia. Facendosi largo tra reticenza e continue omissioni, scopre la vita segreta della bisnonna Addolorata, trovatella e asinaia, e ricostruisce le vicende di nonno Demetrio e di suo fratello Vladimiro, entrambi reduci di guerra, una guerra combattuta e patita in modi molto diversi. Chi sono davvero i Petrovici? Da dove arrivano? E cosa c'entra con loro un'antica ninna nanna yiddish che inconsapevolmente si tramandano da quasi cent'anni? Questa è la parabola di chi rivolge lo sguardo dietro di sé, alle proprie origini piú profonde, per vivere il presente e immaginare un futuro libero da quel malbianco che nasconde la vera essenza delle persone. Raccontando la frenesia e i turbamenti di un protagonista consumato dalla storia che si porta addosso, Mario Desiati ci consegna il suo romanzo piú lirico, inquieto, ambizioso e maturo.
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valeg 23 marzo 2025autore da tenere d'occhio
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