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“…perché la Sicilia, allora come oggi, non è terra che permette di scegliere e nemmeno di fuggire, al massimo si può sperare.” La speranza porta in sé il patimento, chi spera comunque idealizza una realtà migliore, afferma dunque un tormento più o meno intenso, più o meno degno di considerazione. L’isola, che non permette di fuggire in quanto luogo staccato, è lo scenario ideale per la lotta intima che ciascuno di noi ha, prima o poi, con la solitudine, l’inadeguatezza, con la libertà. L’isola e i suoi confini come una prigione e le sue grate, un’immensità di purezza, dolcezza, forza e calore: Manna e Miele, Ferro e Fuoco. Quattro elementi con i quali si inizia un viaggio, a tratti un vicolo cieco poi orizzonte senza fine, in un’isola, l'animo umano, che ha fatto della debolezza la sua forza e viceversa, raggiungendo la pienezza del patire nel compatire, nella fusione necessaria, e nella comunione dei singoli elementi. L’unico modo per sopravvivere all’isola, convivere con i propri limiti, è viverla a dispetto di ciò che essa è, non isolati. Questa è la speranza, la sfida da scegliere, perché "sperare" sia prerogativa del presente e non un appuntamento futuro. Non si può fuggire da se stessi, ma ci si può staccare per cadere e, raccolti dalla vita, trasformati in dono, grazia: la nostra unicità è manna per l'umanità. "...come gocce di cristallo solleticate da un'onda elastica, le stalattiti si incrinarono, comparvero delle linee di frattura poi, o per un colpo di vento o per un incantesimo, simultaneamente i cannoli si staccarono dagli alberi e caddero..."
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