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Anno edizione: 2017
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«Ci fu un tempo, ormai molti anni fa, in cui dovetti trascorrere quasi nove settimane in ospedale. Succedeva a New York e la notte, dal mio letto, vedevo davanti a me il grattacielo Chrysler con la sua scintillante geometria di luci.»
«Elizabeth Strout è riuscita a dipingere con le parole il momento del riconoscimento, il momento raro in cui dentro una famiglia si fa giorno» – Annalena Benini
«Proprio come fece in "Olive Kitteridge", Strout costruisce una piccola contea di relazioni allacciate, ognuna delle quali meriterebbe un libro tutto per sé» – Paolo Giordano
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Ho apprezzato davvero molto questo libro, la cui vicenda mi ha fatto riflettere a lungo. Peccato averlo divorato in pochissimo tempo...
Due donne in ospedale, l'atmosfera è ovattata, la luce soffusa per non infastidire la malata, Lucy, febbricitante per un'infezione post chirurgica. Dalla finestra della camera la vista mozzafiato dei grattacieli di New York e seduta su una sedia scomoda, un po' imbarazzata, la madre di Lucy. Potrebbe sembrare un normale quadro famigliare, se non fosse che Lucy e sua madre non si vedono da decenni, da quando la figlia lasciò il minuscolo paese rurale del Midwest dove era cresciuta tra stenti e violenze domestiche, fuggendo lontano per studiare e ricominciare una nuova esistenza. Ed ora eccole ricongiunte, madre e figlia, vicine fisicamente in quella stanzetta d'ospedale, ma separate da una voragine di anni e silenzio durante i quali Lucy è diventata moglie, ha dato alla luce due bimbe ed ha intrapreso la carriera di scrittrice: una vita nuova di zecca, che non è peraltro riuscita a cancellare del tutto il passato. Di fronte a una madre che non è mai stata in grado di proteggerla né di prendere le sue difese, una donna invecchiata che si è presentata inaspettatamente al suo capezzale e che non trova di meglio, per riempire i silenzi ingombranti, che snocciolare pettegolezzi su vecchie conoscenze di quella comunità che la figlia ha abbandonato da anni, raccontando di famiglie in difficoltà, di donne tradite e di matrimoni infelici, Lucy reagisce nell'unico modo che conosce, non con la rabbia che il lettore si aspetta, ma con una malinconica tenerezza e un'incredibile desiderio di accettazione. Cerca quelle tre parole che insegue da una vita, quel "ti voglio bene" che sembra così difficile da pronunciare per entrambe.
A metà degli anni Ottanta Lucy rimane ricoverata, " fra primavera e estate", in un ospedale di New York e dalla finestra osserva il grattacielo Chrysler, " la cui luce brillava come quella di un faro". Dopo tre settimane di degenza la madre, che non vedeva da molti anni, la va a trovare: " un pomeriggio vidi mia madre seduta ai piedi del letto". E per cinque giorni si raccontano storie sulla loro vita. L'infanzia di Lucy è stata segnata dalla povertà e dall'emarginazione; con il cugino Abel andava a rovistare nei cassonetti vicino ad una pasticceria e di lei e della sua sorella Vicky i bambini, nel parco giochi, dicevano: " la vostra famiglia fa schifo" e scappavano via turandosi il naso con le dita... E di quell'unica storia, la sua storia, Lucy porta dentro di se la "Cosa", la parte più atroce della sua infanzia che la spaventa e le fa battere forte il cuore. Racconto bellissimo.
Recensioni
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