Nacqui settimino. Quanto camminai prima d'arrivare in fabbrica e dar battaglia
"Stavo basso sul lavoro, scansando i casini che mi piovevano addosso. Il direttore generale, DG, in segno di maschia stima, mi stringeva la mano, almeno una volta al giorno. Un'asciutta stretta che durò finché non caddi in purgatorio! Macinavo ore in ditta, le giornate volavano. Ordinavo quintali di pigmenti e altra merda simile. Camionisti stanchi, con la catenina d'oro sul petto sudato, arrivavano dalla Francia, Lombardia, Slovenia o chissà da dove! Docili autotreni, cisterne e altre diavolerie s'infilavano nello stabilimento. Mi sentivo un mago! Abracadabra missinghibri missingabra! Alzavo il telefono, mandavo un fax, una e-mail e giù, le camionate prendevano la via del padule del Bientina. Il materiale, d'incanto, veniva inghiottito nei sudici meandri della fabbrica. Branchi sterminati di barattoli uscivano in fila indiana dalle confezionatrici, impilati sui pancali, stretti nel cellophane. Autotreni ruggenti ripartivano per l'Italia, da Livorno imbarcavano i container, solcavano il Mediterraneo. Melma sfusa, in fusti da duecento litri bianco latte, pieni di smalti verdi, gialli, arancioni. Pagamento 30-60, fine mese, bonifico bancario, valuta fissa."
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Anno edizione:2009
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