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Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2022
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"La paga del sabato" rende a pieno quell'incapacità e quel trauma con i quali, negli anni 50, ogni giovane si era scontrato dalla fine della guerra. A mio parere, si ritrova qui un Fenoglio più naturale, non influenzato da critiche editoriali e consigli altrui, ma fedele a quello stile schietto e asciutto che lo caratterizza. Il personaggio di Ettore, protagonista della storia, emerge con una forza incredibile, e si percepisce con intensità il disagio che vive (evidente nei suoi scatti d'ira e nel suo modo - forse un po' contorto - di amare). Un libro che si legge benissimo anche oggi e che, anzi, sembra quasi non risentire del passare del tempo.
Fenoglio mi colpisce ancora una volta per la sua straordinaria modernità. Il protagonista è un deluso cronico: non trova il suo posto nella famiglia tradizionale, nel lavoro impiegatizio, nè nel suo opposto (la mala). La politica l'ha preso, illuso e disilluso. Ama di un amore forte e sincero Vanda, ma è terrorizzato dai luoghi comuni della vita matrimoniale, che pure a tratti anela. E poi aspettavo da tempo una storia che si concludesse così, tutto a un tratto, con un evento banale, imprevedibile e definitivo, come poi succede spesso nella vita (e nella morte) della gente comune. Aveva ragione Italo Calvino: le storie dei banditi non sono la cosa migliore del racconto. "La cosa migliore è Ettore in casa, Ettore che girà per la città, Ettore che si guarda allo specchio", scriveva. Aggiungo che questo Ettore potrebbe benissimo essere il padre del Luciano de "La vita agra".
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