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Anno edizione: 2011
Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2013
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Libro semplice, poetico, profondo, emozionante. De Luca ha la capacità di avvicinare il lettore alle Sacre Scritture e lasciarlo senza parole. Durante la narrazione sembra proprio di essere lì con il popolo d'Israele, di vivere le sue fatiche, di sentire Dio scandire il decalogo e vedere Mosè. La traduzione fatta dall'autore rende molto merito al testo biblico attribuendogli una sacralità e semplicità che colpiscono l'animo di ciascuno. Consigliato!
Mi dispiace, ma noia profonda. E' il primo libro che interrompo, generalmente oso fino alla fine. Difficile trovare il senso, ancora più difficile tenere gli occhi aperti.
Non si finisce mai di stupirsi della capacità di Erri De Luca di esprimersi in modo sublime (stile e sintesi) e di saper andare al fondo dei temi che tratta. Impresa davvero ardua quella di confrontarsi con le tavole della legge e con Mosè (il cui nome non vine mai pronunciato)! Il risultato è emozionante e coinvolgente. Si ritrova a pieno il piacere di leggere; anzi viene la voglia di meditare da soli e poi di leggere, a voce alta, ad altri. Un testo assoluto ed essenziale. Le prime 38 pagine sono da mandare a memoria: lezione di scrittura e di profondità. Si parla dell'esperienza della salita al monte Sinai e della discesa. Chi ama andar per monti (come me) alla ricerca di quei rari momenti di serenità e di vicinanza al cielo e al suo creatore, trova qui una serie di straordinarie sintonie. Cito alcuni passaggi significativi: "Con l'ultimo passo di salita toccava l'estremità dove la terra smette e inizia il cielo. Una cima raggiunta è il bordo di confine tra il finito e l'immenso. Là arrivava alla massima distanza dal punto di partenza. Non è un traguardo una cima, è sbarramento. Lì sperimentava la vertigine, che in lui non era il risucchio del vuoto verso il basso, ma affacciarsi sul vuoto dell'insù. Lì sulla cima percepiva la divinità che si accostava". "Le cime scalate contenevano la centesima parte di quel bordo, dove finiva il mondo e comiciava il tempo". "Voleva ricordare. Si è uomini per questo, senza memoria un uomo è un precipizio. Deve servire a questo il genere maschile, a trasmettere quanto ricevuto, a lasciar detto. Una donna riproduce il mondo con il grembo, a un uomo resta e spetta ricordare. E' questo il suo contributo alle generazioni". "La divinità...si è rivelata a noi per il desiderio di una compagnia. E' sola senza fine e vuole che glielo ricordiamo. E' una, ma la sua unità non serve per contare, è un numero inservibile, niente da aggiungere o da togliere. Dire che è una, non è atto di fede ma di condivisione della sua solitudine". In quest'ultima citazione ritrovo lo straordinario spirito di De Luca, la sua capacità laica di parlare in modo profondo di spiritualità e di dialogo con il divino e l'eterno. Nel capitolo finale "In margine all'accampamento" il narratore ci svela la sua natura di osservatore e di compango di strada dell'ebraismo "Bello è il verbo che va insieme alla promessa, mantenere, che è tenere per mano", pur mantenendo la propria autonomia di pensiero. Non fideismo, ma acuta osservazione del bisogno di trascendenza. De Luca affronta poi una sorta di esegesi delle tavole della legge con una serie di commenti molto approfonditi. Mi piace concludere con il commento delle donne del deserto circa uno dei comandamenti "Ben fatto l'uso dell'imperativo per aprire le orecchie, anche quelle bisognose di circoncisione, per liberarle dalle impurità". Circoncisione delle orecchie! Quanto ne avremmo bisongo. Un libro assoluto, da non perdere.
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