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Libro stupendo e profondo, di quelli che ti aprono la mente ad orizzonti che ho sempre pensato che esistessero ma che sentivo non alla mia portata, lontani o estranei quasi. La Rakusa ha operato per me un avvicinamento ancora più sentito a quello che Danilo Kis definisce “nostalgia d’Europa”, a tutta quella cultura letteraria, alla musica, alle religioni, all’arte e alla storia di quella Europa dell’Est, cui mi sto letterariamente avvicinando in questi ultimi tempi. Leggere nelle sue pagine citazioni, giudizi su autori russi, ungheresi, cechi, o ebrei di Praga o polacchi, di cui ho appena letto alcune opere, mi ha provocato un piacere profondo. Ma al di là delle personali impressioni, che dire poi dei contenuti e dello stile? La Rakusa, di sicure ascendenze slovene, ungheresi, slovacche ha vissuto la sua infanzia, da apolide, sempre con le valigie pronte, soggiornando bambina in varie “patrie” da Lubiana a Budapest, alla Trieste che così intensamente ha amato, fino ad approdare a Zurigo, apparente luogo d’arrivo. Ma la giovane Ilma cerca solidi punti cui abbarbicarsi come un’edera: la musica, per esempio, la letteratura, soprattutto quella russa dell’amato Dostoevskij, dei cui personaggi proprio a San Pietroburgo, allora Leningrado, va alla ricerca delle tracce. Completamente padrona di più lingue, impara perfettamente il tedesco, come punto fermo della sua cultura e con il quale traduce decine di autori dell’est. Questa sua autobiografia fruga nel ricordo, alla ricerca di quei tanti personaggi , gente normale ma anche nomi veramente illustri, che un oggetto, un profumo, un sapore o un accordo musicale le fanno ricordare; ricordi intimi, molto personali che non seguono un filo storico cronologico ma che, come la trama e l’ordito, intessono una grande tela storica della quale è intrecciata gran parte della cultura mitteleuropea e non solo. La sua coscienza, prima di bambina, poi man mano di adolescente e di donna, ricostruisce, rielabora, rievoca, richiama quei luoghi e quei popoli che la storia ha cancellati, ma il cui ricordo è ancora vitale. Salti temporali inevitabili che si riflettono in una scrittura ricca e varia che usa ora un registro narrativo , ora diaristico, ora poetico, ora un taglio giornalistico. Come ha scritto il suo traduttore, l’eccellente Mario Rubino, la Rakusa utilizza alcuni giochi linguistici o certi atteggiamenti espressionistici, difficilmente riproducibili in un’altra lingua ma che fanno capire quanto sia difficile rendere in un linguaggio diverso il proprio vissuto, la propria anima, i sussulti della propria coscienza.
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