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Ci troviamo di fronte a un non-romanzo o meglio a un anti-romanzo. A cominciare dalle intrusioni del narratore nella storia, il ripetere lo stesso incipit nel secondo capitolo. O dai personaggi che parlano del loro creatore:" il maestro che ci ha inventati". E' evidente il debito con Pirandello, ma anche con l'ultimo Calvino. Data la brevità del racconto e anche la mancanza di una storia vera e propria si potrebbe pensare a un semplice divertissement, seppure molto raffinato. In realtà in queste poche poche pagine è possibile trarre spunti e riflessioni interessanti. La figura retorica dominante è l'ironia, che si sa, rovescia il significato del discorso: e in questo senso dobbiamo prendere il titolo del romanzo. Kundera non vuol fare l'elogio dell'insignificante, ma al contrario mostrarci come l'insignificanza domini la società attuale. E con essa il conformismo, rappresentato anatomicamente dall'ombelico, assurto a simbolo erotico universale.Una ironia bonaria e per questo ancora più efficace come quella verso Stalin, ridotto a macchietta che riesce a conciliare il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer con il realismo sovietico. A salvarci dall'insignificanza e dal conformismo rimane la bonarietà, il buonumore. Citando Hegel, Kundera ci ricorda che " solo dall'alto dell'infinito buonumore, puoi osservare sotto di te l'eterna stupidità degli uomini e riderne".
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