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Anno edizione: 2016
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Da Santiago Gamboa mi aspettavo di più, non potendo fare a meno di ripensare a "Perdere è una questione di merito". In questo caso si può parlare di un tentativo di proporre un approccio innovativo, tra la narrazione di ambienti, di una città (Bogotá), di alcuni suoi abitanti, di ricordi e, probabilmente, di riferimenti autobiografici. Il protagonista è un filologo, orfano dall'età di sei anni (genitori morti in un incendio) che è stato cresciuto dalla zia, dinna colta e raffinata, ex funzionaria dell'ONU. Quando il protagonista vince un premio letterario acquista, con il denaro da questo derivante, una casa a Bogotá dove va a vivere con la amata zia, una domestica ed il fidato autista. L'aspetto innovativo della narrazione consiste nel fatto che l'autore descrive questa abitazione stanza per stanza, e, per ciascuna si lascia trasportare da ricordi e descrizioni di accadimenti o ricordi. La formula funziona solo in parte. Vi sono alcuni capitoli davvero belli e memorabili: "la mia camera" e "la biblioteca", altri piuttosto dispersivi e poco interessanti. La parte più intima è quella che ho preferito, laddove l'io narrante (e forse Gamboa stesso) ricorda i suoi amori con le infermiere della zia oppure descrive la simbiosi tra l'arredamento ed i libri, ciascuno con la sua storia e i suoi rimandi mnemonici. Sullo sfondo fatti storici e la realtà, più o meno accessibile, della Bogotá di oggi. Povera, violenta, squallida (i riti neo nazisti, la droga, i locali equivoci). Questa parte è la meno convincente. Nel complesso comunque una lettura interessante.
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