In questo saggio storico Sciascia ricostruisce un fatto di cronaca avvenuto poco dopo l'unità d'Italia. Come solito, è una denuncia delle storture che caratterizzano una parte della giustizia italiana; il lettore di trova di fronte all'impossibilità di un magistrato inquirente di costruire una solida accusa ed inchiodare i mandanti del fatto di sangue, in quanto costretto a scontrarsi con l'omertà del popolo e la connivenza dei politici. Un racconto della sconfitta della Giustizia, in cui a pagare non sono i potenti mandanti ma i meri esecutori e lo stesso magistrato perché: "le cose andavano per come erano sempre andate, per come non potevano non andare".
I pugnalatori
Il 1° ottobre 1862 un «fatto criminale di orrida novità» funesta Palermo: alla stessa ora, in luoghi quasi equidistanti – «una stella a tredici punte» sulla pianta della città – vengono pugnalate tredici persone. A investigare su quella che subito appare come una sinistra macchinazione è il procuratore Guido Giacosa, appena arrivato dal Piemonte e già «insofferente di fronte alla “superficie verniciata, sostanza pessima” che la Sicilia gli offre» – per i palermitani, solo «un altro piemontese che veniva a comandare». L’inchiesta conduce ben presto a individuare nel principe di Sant’Elia, ricchissimo e rispettatissimo senatore del Regno d’Italia, l’insospettabile mandante. Con crescente angoscia, con disperazione, fra complotti, doppie verità e «sommessi sussurri», avvalendosi solo della testimonianza di pentiti e spie screditate ma armato di un coraggio, un acume e una pazienza infiniti, Giacosa affronterà l’immane difficoltà di costruire una solida accusa. La sua indagine, che Sciascia ripercorre con febbrile tenacia fin nelle sue più tortuose ramificazioni, non basterà a salvare le misere reclute della congrega dei pugnalatori, troppo facili vittime di una giustizia sconfitta, né a inchiodare i veri responsabili. Come sempre, le grida dei condannati a morte vengono soffocate dalle parole afone delle carte giudiziarie e dei rapporti di polizia, coperte dall’autorità di uno Stato vacillante, disperse nei vertiginosi labirinti del potere.
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alias_Riccio 04 giugno 2025Le cose andavano per come non potevano non andare
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utente_2147 14 gennaio 2024
Soltanto uno scrittore ed intellettuale siciliano di valore come Leonardo Sciascia poteva costruire una metafora romanzata sulla strategia della tensione, sui depistaggi e sulle protezioni politiche vissute negli anni '70 utilizzando la storia di omicidi ed aggressioni, apparentemente inspiegabili, che si verificarono a Palermo nel 1962. Le indagini coraggiosamente condotte da un giudice piemontese, facilitate dal sistema liberale dell'epoca che non assicurava l'intangibilità di parlamentari e clero, portarono alla scoperta degli esecutori materiali e del presunto mandante politico individuato in un senatore del regno di alte origini nobiliari. Ma anche allora le rete di protezioni politiche ebbe la meglio sulla giustizia e ad essere condannata fu soltanto la manovalanza. Evidenti anche le analogie ed i richiami sulla psicologia e sulla mentalità sicule ben descritte ne "Il Gattopardo" .
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CRISTIANO BARDUCCI 29 novembre 2017
Un libro che dice molto di più di quanto la storia, basata su un evento di cronaca, racconta. Sciascia parla dei pugnalatori per parlare di una certa idea di giustizia e delle sue storture. "Il mondo andava com'era sempre andato: una sentenza di morte per il guardiapiazza, l'indoratore e il fornaio, mentre il principe di Sant'Elia entrava nella cappella palatina di Palermo, in compagnia di Vittorio Emanuele II, re d'Italia", dice Sciascia a un certo punto del romanzo. Da leggere!
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