Era un Ludovico Ariosto maturo, quello che compose le Satire tra il 1517 e il 1525, ritoccandole fino al 1530. Aveva già scritto la prima versione dell’Orlando furioso, due commedie in prosa, e rivestiva l’incarico di sovrintendente ufficiale agli spettacoli di corte degli Estensi. Un Ariosto maturo e famoso, quindi, ma non sereno e pacificato nei suoi rapporti con il mondo, con i Signori di cui era alle dipendenze, con la diplomazia e con il Papato. Nelle Satire – profondamente innovatrici nella forma e nei contenuti rispetto alla sua precedente produzione letteraria – venne a esprimere dunque il suo disappunto, l’amarezza, l’ironia verso quella società cortigiana da cui si sentiva condizionato, pressato e sfruttato, economicamente e ideologicamente: con toni tuttavia più bonari che bellicosi, e con una esplicita finalità etica. L’editore Einaudi, che le aveva pubblicate nel 1987, le ripropone ora in una nuova edizione aggiornata, sempre con la stessa introduzione, le note, il commento e la bibliografia di Cesare Segre, che le aveva definite “opera con uno schema energicamente biografico, e un investimento morale altrettanto forte”. Il risentimento espresso nelle Satire è soprattutto verso quei potenti che, pretendendo dal poeta servigi in missioni diplomatiche lontane dalla città e dalla donna amata, gli impedivano di attendere alla sua opera come avrebbe voluto, coinvolgendolo in situazioni e in pratiche detestate e biasimevoli. Ariosto si dichiarava pronto alla rinuncia di ogni privilegio, pur di poter mantenere la libertà e la tranquillità: “Più tosto che arricchir, voglio quïete”, “Chi brama onor di sprone o di capello, / serva re, duca, cardinale o papa; / io no, che poco curo questo e quello”. Nella piacevolezza delle descrizioni naturali, nell’elogio della vita semplice e nel rifiuto di ogni enfasi, le Satire rivelano il debito verso la poesia di Orazio, sia nella scelta della forma epistolare, sia nella franchezza e linearità del tono colloquiale.
Satire
Le Satire dell'Ariosto, di forte influenza oraziana, sono un testo originale sia per l'inusitato utilizzo della terzina dantesca in una serie di componimenti epistolari, sia per l'abbandono del tono predicatorio e moralistico tipico della tradizione della satira dai tempi di Giovenale, a vantaggio di un andamento piú affabile e cordiale. I travagli personali, mescolati a divertenti quadretti narrativi, sfociano in profonde riflessioni sulla vita senza mai alcun momento di enfasi o toni troppo gravi. Questo ne fa una delle opere piú piacevoli fra i classici della letteratura italiana. Cesare Segre cominciò ad occuparsi di un'edizione delle Satire dell'Ariosto per Einaudi alla morte di suo zio Santorre Debenedetti (1948), che aveva impostato il lavoro con l'assistenza del nipote. L'edizione uscí, dopo infinite vicissitudini, nel 1987 ed è stata molte volte ristampata. Ora ne proponiamo una versione aggiornata sulla base delle ultimissime correzioni d'autore e della nuova introduzione fatta uscire da Segre per l'edizione francese delle Belles Lettres nel 2014, l'anno stesso della morte dello studioso. Una sola la variante testuale, ma molti cambiamenti nelle note, nella nota al testo e nella bibliografia.
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alida airaghi 11 maggio 2021
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