Se Shelley teorizzava il poeta come "legislatore segreto", Byron con le sue opere e i suoi gesti - il gran teatro di sé, il variopinto caravanserraglio di domestici, medico personale, cani e altre specie con cui attraversava l'Europa - è stato il legislatore manifesto: un legislatore paradossale, provocatorio e vibrante, come il suo primo discorso alla Camera dei Lord - un ribelle, un eslege che affascinava con i suoi versi e i suoi eroi "normativi" chi non osava sottrarsi al giogo delle regole correnti. È difficile dire quanto di un poeta che è stato così noto e apprezzato e di così vasta influenza, sia ancora leggibile oggi. Certo è che il byronismo come un veleno vitale è corso, per tutto l'Ottocento, nelle vene di poeti europei e americani - basti pensare a Poe, a Baudelaire -, anche se nei loro versi si trova filtrato in più elaborate quintessenze.
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