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Il romanzo di Dazai Osamu è uno dei capisaldi di quella letteratura decadente nella accezione peculiare di chi si rivolgeva alla sensualità non per noia o per lusso, ma per non saper reagire all'essere l'equivalente della "generazione perduta" che afflisse i reduci del primo conflitto mondiale. In giappone i reduci del secondo conflitto, inadeguati, sconfitti in partenza, come appunto lo squalificato del titoli, non possono fare altro che rfilettere e ammazzarsi di piaceri effimeri, violenti. Cosa succede quando un personaggio così debole ma così vicino al perdente che è in noi, incontra il gusto macabro di Ito Junji? Una espressione di fascino viscerale non dissimile a quello ispiratore di Edogawa Ranpo, dove il disgustoso, l'amorale, l'inquietante sono atttraenti. Le vicende anche squallide del protagonista, nelle sue umiliazioni e il suo deboscio, sfociano in una versione più che senza censure senza retta via, distorcendo ulteriormente il brutto e il nefando. Più che un'opera selvaggia nel suo estremismo è viscerale, dove guardiamo l'orrore con fascinazione, e dove la vicenda supera la riflessione.
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