Quest'opera di Volodine rappresenta un esperimento linguistico e concettuale, credo mai tentato prima, e - come dichiara l'autore stesso - non è un romanzo ma una costruzione post-esotica. Tralasciando gli intenti che possono essere più o meno cervellotici, il testo è una distopia su più livelli, che si dipana nell'arco di secoli e millenni. La storia prende il via nella taiga russa, dopo il collasso di una certa Seconda Unione Sovietica. Sembra che un'esplosione concertata di numerose centrali atomiche abbia dato vita ad un olocausto nucleare, dove gli unici sopravvissuti sono dei non vivi-non morti. Esistono più linee narrative in prima persona, e talora il soggetto narrante è annientato in maniera esoterica. Tuttavia se vogliamo individuare un nucleo centrale, si un potrebbe dire che tutto ruota intorno alla figura del mostruoso mujik Soloviei, capo politico e spirituale della sua comunità. Si scoprirà che ne sono tutti terrorizzati e che la sua potenza trascende l'ambito fisico. Una lettura complessa, dove non bisogna cercare una storia, ma penetrare nel testo e metter mente alle insondabili lontananze temporali che ci prospetta, alla vita di un mondo non fisico, agli incubi di non-vivi. Personalmente è stata una lettura che sentivo di fare (fatta anche in lingua originale) ma che consiglio solo agli amanti del genere distopico e onirico.
