L' ultima notte da falena - Clelia Moscariello - copertina
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L' ultima notte da falena
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Descrizione


Così sono le poesie contenute in questo libro, ognuna rivela una sfaccettatura di chi l'ha scritta e ogni verso prende dentro: non si può rimanere impassibili. Alcune poesie, come "La sfinge", fanno emozionare e aprono scenari che pensavamo abbandonati, chiusi persino ai ricordi; altre fanno sorridere perché lei ha l'anima di una giovane donna, ma pur sempre partenopea e quindi sa essere ironica e autoironica.

Dettagli

82 p.
9788862114547

Valutazioni e recensioni

  • L’ultima notte da falena Medito sulla letteratura, sull’arte letteraria che conquista il lettore quando legge un saggio, un romanzo o una poesia… Un saggio ti coinvolge con le sue tematiche, anche il romanzo, che necessita di studio e di diverse altre qualità, tecniche e artistiche; la poesia è un mondo a parte, il poeta ha bisogno di conoscere, di essere artista, ma soprattutto gli serve la virtù innata, il saper cogliere il soffio ispiratore e trasformarlo nella magia dei versi. Non si può decidere di essere poeta, o lo si è o pazienza. Per questo non ci si autodefinisce tali, ma si lascia che siano i lettori a farlo, d’altra parte non si può essere poeti per tutti, né chiunque può cogliere la poesia. Il lettore di poesia è raro, appartiene a un’elite nel mondo della lettura, è un troubador di lirismo e quando lo trova, trova il poeta. Con questo spirito ho rovistato tra i versi di Clelia Moscariello in “L’ultima notte da falena” e la poesia l’ho trovata; l’ho trovata nella suite delle piccole pene d’amore di gioventù, nelle recriminazioni sarcastiche di una vita che accompagna l’amore o viceversa, in un’opera omogenea che segue un filo unitario. Le poesie di Clelia sono quadri, pittura, dipinti scritturali. In questi schizzi c'è lei, la sua essenza, non gridata, di una semplicità spontanea di cui non ci si stupisce, perché è naturale. La sua tecnica è un flusso inarrestabile, in costante tensione e struggimento. A tratti sogna e ti ci porta dentro, con l’irrazionalità e la fantasia di cui solo il sogno è capace. Versi di vita, ricerca d’amore, amore anche precario cui abbandonarsi, con pacatezza… anche la malinconia le è amica. A tratti emerge un tedio non dichiarato, uno spontaneo ennuì, che rivela la sofferenza poetica, l’essere unta. Versi di autocoscienza e consapevolezza di farsi male, perché non capace di farne agli altri. Recriminazioni costanti contro qualcuno che è il mondo stesso, ricerca di perché, biasimi e tirarsi fuori dalla negatività. Acquarelli tenui e trasparenti da ripassare a tempera, come Ti ho sognato questo dì. Riflessioni lucide di realtà prosaiche che attenuano la tensione, gli tolgono l’ “allucinazione” iniziale. Ma a volte sono immagini efficaci, come ne Il girasole: la scuola colorata e il grigiore delle maestre. Filo conduttore è l’amore perduto, adulato, odiato, reclamato, invocato, licenziato, che culmina nella bella Il tuo angelo, ove questo amore è immanente e irrinunciabile, dove Clelia lo confessa, si fa geisha rinunciando a tutto e a niente. Pochi giochi coi versi, ma ci sono, come in Viaggi astrali: “Senza misticismo,/ senza esoterismo,/ senza paure,/ senza ragione e senza intuito…/ Senza santità”. Metafore e citazioni, “Una stanza che dimentica il suo cielo”. Sprazzi di poesia maledetta ne Il grembo: “Non posso illuminarvi della mia aura,/ ma solo contaminarvi del male che covo dentro da secoli”. Bambina che si vede donna e si stupisce in Luci ed ombre. Parla di sé in Caos “Non mi innamoro più delle idee e delle parole da un pezzo,/ la realtà senza ha più sapore,/ la sua luce bianca è la mia amaca…/ Ero finita dietro suoni usurati dal tempo e dalle occasioni./ La luce adesso è ancor più forte./ Le filastrocche usurate che mi costringevo a sentire,/ simulacri alla ricerca della verità.” Notevoli anche L’anima dei miei oggetti “Cocci, frammenti, pezzi di vetro, stampe./ Si perdono e si ritrovano tra incensi, bricolage ed essenze,/ ogni oggetto segue l’onda del destino…”, Veramente “Il trucco stucchevole con cui addobbo il mio viso,/ lo metto solo per denigrarvi ed offendervi…/ Je suis desolée…”, o La mia famiglia “un canovaccio riuscito,/ di recitazione sperimentale,/ dove qualsiasi performance è permessa e premiata…/ E si dorme ciascuno sotto la maschera dell’altro,/ prima che ricominci un’altra scena”. Lancia il suo j’accuse all’amore sordo in Le stagioni del cuore e ne I peluche “E tu,/ imperterrito e indifferente/ alla loro esistenza stupida e senza altra ragione/ che non sia quella di vedere un altro sorriso finto,/una tenerezza cupa,/ uno sguardo tetro/ che ha soltanto chi ti guarda da uno sguardo di vetro/ e un’allegria di una vita in cui non si ha un cazzo da fare!” La ricerca di un giusto amore per se stessa si scontra con il Veleno preso, dato, presente, assente, quasi zucchero, miele… per cui Je suis desolée ritorna protagonista, come un topoi, un’invettiva, un atto d’accusa: “Io non sono quella che credevi…/ di ingabbiar nelle tue categorie mentali”. “Atmosfere cupe” (Camere da letto): la vita sono tante bed room, “Stazioni/ che si spostano in latitudine e longitudine,/ alla fine sempre un addio, un bacio,/ che pareva l’ultimo”, “Personaggi/ che nel nostro film sono solo comparse./ Un tempo beffardo, dilatato,/ che sembra divertirsi a girare su se stesso,/ indifferente a tutto e a tutti”. Diversi gli approcci ai temi sociali, dall’emarginazione al riscatto di chi vi è coinvolto, come ne Le lucciole “Fantasticano su di noi…/ aspettando invano l’aurora”, che poi “Anche questo è un talento!” (Storia di una puttana), idealizzato in qualche modo in Passeggiate intorno al mondo “Calpestando i misteri mai svelati dai marciapiedi”. Passi di sano e sarcastico narcisismo in La luce di Hollywood, del giovanilismo “compulsivo”. Evocazioni di droghe che non rendono quanto la loro assenza, verità scritta in Sono Baudelaire. Mentre La storia di un fantasma evoca il femminicidio ante-litteram, sed semper existit, raccontato con il costante sarcasmo, alla maniera degli epitaffi di Lee Masters. Nel filo conduttore che è un amore travagliato scorgo tuttavia una donna reattiva, combattiva, che urla, invoca, ma decide, e il dolore non è di genere, ma di persona e l’ultima parola la dice Clelia: “Il girotondo è finito,/ la giostra si è fermata./Scendiamo”. Massimo Pistis

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