"C'è del buono a Parma", mi verrebbe da dire parafrasando Shakespeare. Ho scoperto questo autore in occasione di una lettura di gruppo. E la scoperta è stata piacevole. Stracciari, l'alter ego dello scrittore Baistrocchi, a sua volta alter ego dello stesso Nori - almeno questa è stata la mia sensazione - sembra vivere al di fuori del mondo, ma è vero esattamente il contrario. Acuto osservatore della realtà, attento nel cogliere i paradossi che la nostra società offre quotidianamente, con uno sguardo estraniato ed estraniante, ci fa sorridere, riflettere, ma anche intenerire. Racconta in presa diretta, con un linguaggio parlato che rende ancor più l'immediatezza (a lungo andare un po' "pesante"; se il libro fosse stato di più pagine, mi sarebbe venuto a noia, ma Nori è bravo a fermarsi al momento giusto, non si parla addosso) e più si inoltra nel suo vissuto, più la nostra risata si tinge di partecipazione, commozione a tratti. Siamo con Stracciari e con le sue remore, i suoi dispiaceri; facciamo il tifo per lui e per la storia con la regione dell'Asia Minore (leggete e capirete); infine siamo contenti, nel finale, per la piega che la sua vita sembra prendere. Be', io mi intratterrei molto volentieri a parlare con Stracciari nel Tristobar, davanti a un caffè, anche se non desiderassi un caffè perché ne ho bevuti fin troppi: vedere la vita attraverso i suoi occhi è un'esperienza che vale tutta la caffeina di questo mondo.
Undici treni
Nel nuovo romanzo di Paolo Nori ci sono assenze più forti di certe presenze, silenzi diversi da altri silenzi, momenti in cui gli atomi diventano più atomi; succedon cose che piegano la vita come se fosse di latta, e la vita di prima non puoi più usarla.
Il mio vicino di casa era uno che aveva uno sguardo, sul mondo e sulla gente, che era uno sguardo come per dire “Ma il mondo, ma la gente, le cose che fanno, ma non si rendono conto che non andrebbero fatte come le fanno loro ma come le faccio io?
Stracciari registra i silenzi. Registra anche i suoni; gli piacciono i suoni, i silenzi, le calze delle donne, la carta che si infilava tra i raggi della bicicletta per far finta di avere una moto, il suono del modem le prime volte che ci si collegava a internet, il messaggio che si sentiva quando entravi in banca “Siete pregati di depositare gli oggetti metallici nell’apposita cassettiera”. Ci farebbe una mostra, di silenzi e di suoni. Gli piace anche quando lo mandano affanculo e quando gli dicono “Poverino”. Una cosa che non può sopportare, è quando gli chiedono “Come stai?” “Eh” risponde. Ha un giubbetto con un’etichetta con “Poliestere” scritto in trenta lingue diverse, e un vicino di casa che si chiama Baistrocchi che lo tratta un po’ male, e un bar sotto casa che loro chiamano Tristobar. Gli piace anche il Tristobar, a Stracciari. E gli piacciono quelli che fanno albering, supermarketing, funiviìng, macchining, bankomating, lavòring, antropologiìng. E gli è piaciuta una ragazza sarda che ha vissuto con lui per un po’ di anni e in tutti quegli anni non gli ha mai detto “Amore” o “Caro” o “Tesoro” o delle cose del genere. Al massimo gli ha detto “Disgraziato”. Se era proprio molto ma molto contenta, gli diceva “Delinquente”. E lui era così contento, anche lui.
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Autore:
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Anno edizione:2017
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DELIA DIFONZO 14 maggio 2018
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