Conosco Chris Impellitteri, fondatore dell'omonimo gruppo, fin dal suo disco di esordio, Stand in Line, del 1988, al quale mi accostai con qualche perplessità, più che altro spinto dalla curiosità di conoscere il nuovo gruppo di Graham Bonnet (cantante ex Rainbow, il gruppo di Ritchie Blackmore dopo i Deep Purple). Inutile dire che rimasi folgorato dalla tecnica di Chris, non per nulla inserito nel 2008 nella lista dei chitarristi più veloci di tutti i tempi, redatta da Guitarworld Magazine, assieme a Eddie Van Halen, Randy Rhoads e Yngwie Malmstee. Erano passati giusto 10 anni da quando Eddie Van Halen, con l'album di esordio del suo gruppo, aveva alzato di molto l'asticella tecnica degli axeman. Chris Impellitteri (1964), di colpo, si affiancava al quasi coetaneo Yngwie Malmsteen (1963) che allora sembrava insuperabile. Da allora molto tempo e numerosissimi dischi sono passati sotto le nostre mani ma poco o nulla sembra aver scalfito la precisione e la velocità del nostro chitarrista, ormai una delle icone della chitarra elettrica. Negli undici brani di War Machine si può ascoltare un heavy metal tradizionale, con brani abbastanza brevi e nei quali l'inconfondibile virtuosismo chitarristico è comunque funzionale alla struttura del brano, La formazione, di altissimo rilievo, è per tre quarti classica, con i fideli Rob Rock alla voce e James Pulli al basso, mentre alla batteria c'è la novità costituita dall’ex Slayer Paul Bostaph. L’album è quindi perfetto e rifinito dal punto di vista della performance e della produzione ma, dal punto di vista musicale, è privo di quell'originalità che, seppur inaspettata, non sarebbe comunque dispiaciuta. Spunti e sonorità alla Rainbow, Judas Priest, Black Sabbath e dello stesso Impellitteri spuntano fin troppo spesso, dando l'impressione di riascoltare riff e linee vocali fin troppo abusate. In ogni caso è un buon disco, che i metallari di scuola classica non disprezzeranno,
