Iniziato nel 1804 e mai portato a termine, “I Watson” è un testo narrativo in cui comunque ritroviamo tutta l’ironia a la capacità di scrittura della grande autrice inglese. La protagonista di queste pagine è Emma Watson, giovane graziosa, intelligente e indipendente (la sua fame di autonomia potrebbe forse ricordarci un altro personaggio austeniano, Elizabeth Bennett), costretta a tornare dalla sua famiglia d’origine perché il padre è gravemente malato. Emma, cresciuta ed educata a casa della zia, è molto diversa dall’altra Emma creata dalla penna di Jane Austen: Emma Woodhouse, ricca e brillante, con la mania di combinare matrimoni. Possiamo anzi dire che Emma Watson è proprio il contrario: non ha nessuna dote patrimoniale, è molto riflessiva e biasima le sue sorelle (tranne la maggiore), che pensano di risolvere i loro problemi facendo un buon matrimonio. Emma preferirebbe addirittura insegnare pur di non far dipendere la sua serenità dalla scelta di un consorte agiato. Eppure la sua situazione non proprio rosea, viene rallegrata da un invito a un ballo dove ha modo di conoscere due nobili famiglie: gli Osborne e gli Howard… Se temete di non poter leggere il finale di questa storia, che purtroppo non possiamo assaporare nella sua interezza, vi sbagliate: Jane lo aveva rivelato all’amata sorella Cassandra e anche a noi lettori viene data la possibilità di sbirciare quello che la sua mente aveva immaginato per un’eroina così moderna.
