Si tratta di un libro dalla lettura scorrevole grazie allo stile del'autore, ma che lascia un'impressione profonda nel lettore. Petacco racconta la storia dei dei comunisti italiani che cercarono rifugio nell'Unione sovietica dopo l'avvento del fascismo, convinti di partecipare in prima persona all'edificazione del socialismo e che, invece, finirono in un ingranaggio terribile. Molti di loro passarono attraverso anni di esilio e lavori forzati, trovando spesso la morte, senza avere alcuna colpa. Sono storie terribili, ma ciò che colpisce ancora di più è il fatto che anche coloro che riuscirono a salvarsi dal terribile ingranaggio delle persecuzioni staliniste quasi sempre si rifiutarono di denunciare ciò che avevano subito. Un libro che aiuta a meditare su tutta una serie di meccanismi dell'animo umano.
A Mosca, solo andata. La tragica avventura dei comunisti italiani in Russia
Petacco ricostruisce la storia dell'"emigrazione politica" dei comunisti italiani riparati in Unione Sovietica dopo l'avvento del fascismo: attraverso grandi e piccole vicende umane, tratteggia l'atmosfera irrespirabile del Club degli emigrati di Mosca, una sorta di dopolavoro dove le riunioni si erano trasformate in processi inquisitori. Rivela come le schede compilate e inviate dal PCI, in cui venivano elencati gli "errori" politici commessi e poi corretti, si fossero rivelate delle denunce che ponevano gli sventurati alla mercé degli inquisitori di Stalin. Descrive il clima ambiguo e inquietante del Lux, l'albergo dove alloggiavano i compagni "dirigenti" e dove l'acqua scorreva nei lavandini anche la notte per confondere le "cimici" nel caso qualcuno parlasse nel sonno. E, non ultimo, la misera sorte di tanti bambini i "figli del partito" -rimasti senza genitori e spediti negli istituti organizzati dal Comintern per forgiare gli "uomini nuovi". La vita di tanti italiani si concluse drammaticamente con la fucilazione o la deportazione nel gulag. Gli emigrati che chiesero l'"onore" della cittadinanza sovietica furono i più sfortunati, perché persero ogni diritto, mentre a coloro che rimasero italiani andò un po' meglio: qualcuno tornò a casa, sia pure a prezzo del silenzio.
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Autore:
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Anno edizione:2014
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Formato:Tascabile
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Libretto di 150 pagine che approfondisce la vicenda degli esuli comunisti italiani a Mosca durante le purghe staliniane. Come già evidenziato in altre recensioni si tratta di un testo che si affianca al libro di Lehner e Bigazzi "Carnefici e Vittime. I crimini del PCI in Unione Sovietica", concentrandosi più sulle vicende personali delle vittime che sul quadro generale del Terrore. Lo stile di Petacco è molto divulgativo e a volte un po' superficiale ma in generale si tratta di un testo valido e interessante, portatore di una verità scomoda e tenuta segreta per decenni dalle stesse vittime per non intaccare la propria utopia. Consigliato comunque a chi ama il periodo storico in questione.
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Renzo Montagnoli 03 settembre 2016
Quando imperava il fascismo, alle cui regole tutti dovevano assoggettarsi, non mancavano però gli oppositori, ai quali erano riservate, nel migliore dei casi, le bastonature e l’olio di ricino, oppure venivano condannati al confino e anche imprigionati. Molti di loro, però, fuggivano all’estero, in paesi certamente più ospitali come il Belgio e la Francia, e, nel caso dei comunisti, non certo pochi trovarono rifugio nell’Unione Sovietica, mitizzata come il Paradiso Marxista. Una volta là, però, dovettero accorgersi che non di paradiso si trattava, bensì di inferno, vittime pure loro delle epurazioni staliniane. E non si trattava di bastonature e di olio ricino, ma di vere e proprie sadiche torture, di fucilazioni, di lunghi periodi di detenzione nei famigerati gulag. Anche stare accorti nel parlare non era sufficiente e non di rado si era arrestati solo per aver scambiato due parole con un altro compagno incriminato, o addirittura per colpire altri soggetti, cercando, grazie alle sevizie, di ottenere denunce del tutto infondate. Eh sì, nel periodo in cui imperava Stalin in Russia era difficile vivere, ma in cambio era facilissimo morire. I dirigenti del PCI, il partito comunista italiano, e in primo luogo il loro segretario Ercole Ercoli, pseudonimo di Palmiro Togliatti, erano ben consapevoli dei patimenti dei compagni connazionali, ma stavano zitti e con l’abilità dei camaleonti riuscirono a uscirne indenni, ovviamente mai raccontando di quei fatti al loro ritorno in patria dopo la caduta del fascismo. Questo non deve sorprendere, perché la politica é una sporca faccenda; quello che sorprende invece è che coloro che incorsero nelle purghe staliniane e riuscirono a sopravvivere rimasero di incrollabile fede comunista, alcuni cercando giustificazione dei torti subiti in qualche inconsapevole comportamento deviazionista, altri invece solo per pura fede. Fra questi ultimi anche Paolo Robotti, cognato di Togliatti, che pur pubblicando nel 1965 un libro su quel periodo funesto rimase uno stalinista convinto, un atteggiamento che a definirlo masochista non spiega del tutto i motivi. Il culto della personalità era talmente radicato che la ferocia di Stalin veniva accettata supinamente, come il castigo di un Dio che rappresentava con poteri assoluti la loro ideologia politica. Quanto al Partito Comunista Italiano, nonostante le malefatte di Stalin svelate da Chruscev, pensò bene di non rendere edotti i suoi numerosi iscritti, nel timore, giustificabile, che non pochi avrebbero stracciato la tessera. Di questo parla il bel saggio storico di Arrigo Petacco e lo fa con elementi probatori, con un atteggiamento super partes che gli fa onore e che in fondo fornisce all’opera la necessaria credibilità. Da leggere, ovviamente.
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