De Kuyper non si definisce scrittore, ma a un certo punto della sua vita ha avvertito la necessità di scrivere delle vacanze della sua infanzia, trasfigurate in una dimensione atemporale. Tutto era ritualizzato secondo l'ordine dettato dalle donne di casa. Egli narra di sé in terza persona, non per estraniarsi ma per provare a dare una cifra della distanza che separa il sé bambino dall'adulto, realizzato sì, ma infedele a sé stesso, proprio come quei "grandi" che non riuscivano a capire le dinamiche dietro ai loro giochi o la loro visione non mediata del mondo. Narra di sé come di un bambino già allora "particolare", che non amava la frutta né il gelato, mangiava poco ed era cagionevole di salute. Oltretutto, già celava in sé una sensibilità ed una sessualità diverse, a cui fa un breve accenno, con allusioni fatte di sguardi, suoni e colori. De Kuyper sa di aver tradito il giovane che era, ma già in quel tempo magico e remoto sapeva che sarebbe andata così. Egli era il più piccolo dei bambini grandi, ma anche il più grande dei piccoli, l'ultimo nato prima della fine della guerra. Era dotato di una forte sensibilità e capacità di interazione con gli altri, anche adulti, tanto che era sempre lui incaricato di relazionarsi con l'esterno per ottenere (sempre educatamente) favori per la sua comitiva. Ogni membro della famiglia aveva un ruolo nell'economia generale, ogni figura era una maschera con una parte. Su tutti spiccava la nonna-matriarca Bontje, con cui il protagonista ogni anno trascorreva gli ultimi giorni di vacanza prima della scuola, quando tutti erano già andati via. Quel mondo di cui narra non esiste più, è andato sgretolandosi per entrare a far parte dell'immaginario collettivo europeo. E lui ne dà una visione profondamente umana, analizzata con l'occhio critico di un bambino che non ha filtri o preconcetti, donandoci un quadro meraviglioso di quegli eventi così personali, così sciocchi, se vogliamo, banali, ma che fanno parte del bagaglio di ognuno.
Al mare
Le vacanze dell’infanzia, quel periodo che ritorna con la sua magica ciclicità, con le sue giornate apparentemente sempre uguali, in cui non succede nulla di raccontabile e che sembrano sospendere, nella loro uniformità, il passare del tempo. I giochi sulla spiaggia, le passeggiate sul lungomare, il gelato serale, la caccia alle zanzare, le scottature di sole, il mondo separato e serio dei bambini che guardano a quello estraneo degli adulti cogliendone le incongruenze e accettandone l’incomprensibilità. Un mondo dominato dalle Madri, quasi mitiche figure che sovrintendono ai riti, ne dettano con sicurezza i modi e i ritmi, e restano le incontrastate custodi di una felicità che non deriva da nient’altro che da un’irripetibile intensità di rapporto con il quotidiano. È da questo che nasce la nostalgia di quell’epoca, comunque sia stata, come di un paradiso perduto: quell’adesione alla vita, l’apertura al possibile, quella fedeltà all’ora e al qui che non sapremo mantenere e che ci porterà a percepire il passaggio all’età adulta come un tradimento di noi stessi e di ciò che era essenziale all’autenticità dell’esistere. Sono le vacanze al mare della sua famiglia a Ostenda che de Kuyper racconta, guardando a distanza il bambino che era e sovrapponendovi a tratti lo scrittore che è. Un Amarcord belga, popolato da figure fissate dalla lente di ingrandimento di un acuto sguardo infantile; gli anni Cinquanta di un mondo che non esiste più e che pure ci sembra così parte del nostro passato.
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Collana:
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Edizione:2
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LuigiAmendola 02 luglio 2023Letture da un mondo che non esiste più
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