L'anima. Sette lettere a un'amica

Cara amica,
quando ho ricevuto la tua prima lettera, ti ho risposto immediatamente. Avere tue notizie dopo più di trent'anni mi ha procurato un'emozione tale che la mia reazione non ha potuto essere che un grido istantaneo. Ho conservato a lungo, invece, la tua seconda lettera, che ho qui davanti gli occhi, e solo oggi tento di risponderti. Forse hai intuito la ragione di questo ritardo, perché la tua missiva contiene una singolare ingiunzione.
«In tarda età - scrivi -, mi scopro un'anima. Non che ignorassi la sua esistenza, ma non ne sentivo la realtà. A questo si aggiunge il fatto che, attorno a me, nessuno pronunciava più questa parola. Ma, a forza di vivere, di sbarazzarmi di molte cose, questa entità irriducibile, intangibile, e insieme carnalmente reale, diventa per me incontestabile. Abita il mio centro e non mi lascia più. Poi, un giorno, mi sono ricordata di quell'incontro - così lontano, così sfumato, si direbbe in un'altra vita - nel corso del quale, di sfuggita, hai fatto scivolare questa parola nella nostra conversazione. Ero troppo giovane per coglierla al volo. Nel frattempo, ho letto alcuni dei tuoi scritti. Adesso sono tutta orecchi; accetti di parlarmi dell'anima? Mi sembra che, a partire da qui, tutto tornerebbe essenziale, aperto».
A fronte della tua richiesta, che avevo bisogno di riscrivere qui parola per parola, la mia reazione immediata è stata quella di sottrarmi. L'anima non è forse qualcosa di cui non si deve parlare, a rischio di suscitare imbarazzo? Non si deve e non si può. Se ci si arrischia, ci si scopre impreparati come colui che, per esempio, cercasse di definire che cosa sia il tempo, la luce o l'amore. Eppure, sono elementi di cui nessuno potrebbe negare l'esistenza, e da cui la nostra stessa esistenza dipende.