L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2014
Promo attive (0)
Indice
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Premetto che ho letto, per caso, questi due libri secondo l’ordine cronologico della loro pubblicazione. Un caso fortunato, poiché ritengo che il testo di Canfora rappresenti, almeno in parte, l’espressione di un suo reciso dissenso, nei confronti di alcune idee nodali del saggio di Ordine (che Canfora, si noti, non nomina mai). L’utilità dell’inutile è stato dato alle stampe prima in Francia e in francese, nel 2013, dalla prestigiosa casa editrice “Les Belles Lettres” (nella quale, ci informa il risvolto di destra della successiva edizione italiana, l’autore di L’utilité de l’inutile «dirige, con Y. Hersant, tre collane di classici»), e solo successivamente è venuto alla luce in italiano, per i tipi della Bompiani. Dopo una sua attenta lettura – lungo la quale mi sono sentito talvolta arrancare, a causa dei continui sfoggi gratuiti di erudizione – sento di dover dire che, non trattandosi affatto di un libro inutile (se ce ne sono; e credo proprio di sì), il manifesto di Ordine (il termine manifesto vi compare, infatti, come sottotitolo) è comunque radicalmente sbagliato. È quello che penso del suo approccio, in effetti, perché i suoi doviziosi e illustratissimi ragionamenti in difesa della filologia, classica e non, finiscono per dimostrarsi non solo alquanto autocelebrativi – e, dunque, un tantino irritanti – come pure, e soprattutto, mal motivati e addirittura controproducenti. Ordine fa ampia mostra del suo strabiliante bagaglio culturale, offrendo al soggiogato lettore un’imponente carrellata dei più svariati protagonisti della cultura occidentale: Euclide, Ariosto, Seneca, Nietzsche, Baudelaire, Einstein, Montaigne, Cervantes, Victor Hugo, Saint-Exupéry, George Steiner, Lessing, il cardinal Bessarione e decine di altri nomi eccelsi – forse un foglio intero non mi basterebbe per elencarli tutti. Insomma, una parata delle All Stars del pensiero e delle belles lettres decisamente impressionante; ma i riferimenti e le citazioni che li riguardano sono spesso scontati, o ridondanti, o di dubbiosa pertinenza. L’esuberanza espositiva di Ordine è un mal minore, però, o forse non lo è affatto, se prendiamo in considerazione il pragmatico principio del melius abundare. Più grave e più greve è la sua quasi ipnotica insistenza sul logoro topos della condanna dell’auri sacra fames: espressa, mi sa – come quasi sempre accade –, a pancia piena. È facile, è appagante, è bello disprezzare i beni materiali, quando se ne dispone in quantità sufficiente per poter ostentare un’aristocratica aderenza all’ideale oraziano dell’aurea mediocritas. Nonostante tutto, anche le magagne appena riferite possono essere considerate fondamentalmente innocue. L’impostazione dell’elogio che l’autore intesse ai cosiddetti Studi Classici mi pare, invece, più dannosa. Secondo Ordine, tutto sommato, il latino, il greco e gli studi riguardanti le culture che in tali lingue si esprimono sono proprio inutili: solo che le cose inutili finiscono, a ben vedere, per risultare utili; ed eccoci dunque, così, alla redenzione di cotali ruderi. Ma il coltivare questo inutile, così ripromosso alla categoria di utile, resta, ovviamente, l’appannaggio di coloro che se lo possono permettere, cioè dei clari viri felicemente sottratti al regno delle più basse necessità incombenti: una rapsodia elitista, alquanto stantia – addirittura reazionaria, forse – e insidiosamente alienante. Non volendo soffermarmi su tutti gli altri abbondanti motivi della mia¬ (moderata ma ferma) avversione nei confronti del disegno generale che ispira il manifesto di Ordine, passo, dunque, alla contestazione che viene mossa da Canfora alla (pseudo) tesi dell’utilità dell’inutile, concisamente sintetizzata nella frase che funge da titolo al III capitolo di Gli antichi ci riguardano: «L’utilità dell’inutile è un sofisma». Il brano del suddetto capitolo che passo a trascrivere è una schietta denuncia del «gusto consistente nell’ingenua e innocua provocazione» del «<viva l’inutilità!>» (p. 32): La via meno convincente per caldeggiare la sopravvivenza degli studi detti “umanistici”, o più specificatamente classici, nell’ordinamento scolastico consiste nel vantarne, con innocua volontà provocatoria, l’«inutilità». Si rischia, ciò facendo, di ridurre un problema serio ad un gioco di parole o anche ad un falso sillogismo o «paralogismo», per dirla con Aristotele, in cui lo stesso termine (inutile) è preso in due sensi differenti: come equivalente di non-utile (per il senso comune) e come equivalente di disinteressato, non legato ad interessi materiali o ad altro genere di usurpazione, insomma fine a se stesso [...]. (pp. 31-2). Va comunque puntualizzato che Ordine inizia pure il suo libro (Introduzione, p. 7) “mettendo le mani avanti” a proposito del suo calembour dell’utilità dell’inutile: «L’ossimoro evocato dal titolo L’utilità dell’inutile merita un chiarimento». Il successivo «chiarimento», però, chiarisce ma non convince. Perché il lettore di queste mie esili riflessioni si possa fare un’idea, invece, delle vie “più convincenti” proposte da Canfora «per caldeggiare la sopravvivenza degli studi detti “umanistici”» – da me condivise senza se e senza ma, anche se credo che ci siano ancora, in proposito, altri validi argomenti da aggiungere a quelli da lui presentati – anziché spendere tempo e inchiostro a propinare al mio interlocutore virtuale un loro maldestro riassunto, ritengo sia molto meglio raccomandargli la lettura integrale di Gli antichi ci riguardano (un centinaio di pagine, di circa 11 per 17 cm). Magari leggendo pure, in precedenza o successivamente, il pletorico tour de force di Ordine (circa 250 pagine, più o meno delle stesse dimensioni di quelle del volume di Canfora); cui non mancano, però, spunti di gran pregio rispetto ad altri problemi che ho qui accantonato, come quello degli attuali “movimenti tettonici” nell’ambito dei rapporti di forza tra studenti, autorità pedagogiche e altri protagonisti del sistema della pubblica istruzione. Bari, 3/7/2014 Arlindo José Nicau Castanho
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore