Fermor e' uno scrittore molto meritevole, poiché coniuga un grande talento letterario ad abilità che sono estremamente pratiche e che risulta difficile saper trasmettere all'interno di uno scritto. Leggere dei suoi viaggi e' un piacere per qualsiasi lettore. Il libro è bellissimo, un viaggio che è un vero viaggio di scoperta sia esteriore che interiore, attraversando luoghi e paesi, conoscendo genti, suoni e sapori, soprattutto un viaggio nello spazio, ma anche nel tempo, perchè offre uno spaccato dell'europa che non c'è più; Questo è stato per il primo libro che ho letto di Fermor ed è stato davvero una piacevole scoperta.
Tempo di regali. A piedi fino a Costantinopoli da Hoek Van Holland al medio Danubio
Munito solo di uno zaino da alpinista, un vecchio cappotto militare, scarponi chiodati, l’"Oxford Book of English Verse" e un passaporto nuovo di zecca che gli attribuisce la professione di studente (anziché, come avrebbe auspicato, quella di vagabondo), nel dicembre del 1933 Patrick Leigh Fermor abbandona Londra e una carriera scolastica sciagurata e ribalda. Ha appena diciotto anni, vaghe ambizioni letterarie, ma un progetto nitido e grandioso: attraversare l’Europa a piedi come un palmiere o un cavaliere errante e raggiungere Costantinopoli – la «Bisanzio verde drago» di Robert Byron, «ossessionata dal serpente e tormentata dal gong». Quando vi arriva, il 1° gennaio 1935, è ormai un altro: non solo si è lasciato per sempre alle spalle disastri e misfatti, ma ha sviluppato una rara forma di nomadismo – viaggiare simultaneamente nello spazio e nel tempo – e l’arte, ancora più rara, di trasmetterlo agli altri. Che contempli lo splendore barocco dello Schloss Bruchsal o le nodose mani dei contadini fra cipolle tagliate, caraffe sbeccate e pane integrale; che dorma in un fienile steso come un crociato sulla tomba o nel «capanno da caccia» del leggendario barone Pips Schey a Kövecses; che percorra il Reno su una colonna di chiatte che trasportano cemento o attraversi Vienna offrendosi come ritrattista a domicilio; che sperimenti il Katzenjammer, i postumi di una sbornia, a Monaco o elabori la «formula del lanzichenecco» per spiegare l’architettura delle città tedesche prebarocche; tutto ci appare il dettaglio di un fantasmagorico affresco, tutto sembra ricomporsi in un gigantesco puzzle dove risorge, come un’emanazione di incredibile e accattivante splendore, il passato dell’Europa. E insieme scopriremo qui il modello ancora fragrante di quel modo di viaggiare (e di vivere) che sarà un giorno identificato con la fisionomia di un giovane amico di Leight Fermor: Bruce Chatwin.
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yulia salabay 28 novembre 2017
1933. Inghilterra. Uno studente sciagurato e ribelle abbandona Londra e decide di attraversare l'Europa a piedi fino a Costantinopoli. Dormirà nei fienili e case dei contadini, sarà ospite dei conti nei loro castelli e biblioteche. Parteciperà alle grandiose feste della aristocrazia prebellica alternate con vagabondaggi nella natura selvaggia della Transilvania e dei Balcani, fino a raggiungere la sua meta due anni dopo, per procedere quasi subito per Monte Athos. Di tutto questo ne scriverà solo 40 anni dopo, e l'ultimo volume uscirà postumo. Questa trilogia però non è un semplice diario di viaggio. E il meraviglioso resoconto dei posti visitati e persone conosciute al confine tra il saggio storico (magari qualcuno insegnasse a me la storia cosi!), linguistico e architettonico. Forse proprio il fatto di aver descritto il viaggio della sua gioventù in età "matura" che lo rende cosi affascinante e saggio. Da leggere. Da gustare. Per conoscere l'Europa prebellica svanita per sempre.
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Prima parte (fino all'Ungheria) del racconto della peregrinazione a piedi attraverso l'Europa (dall'Olanda a Costantinopoli) intrapresa da Fermor appena diciannovenne nel 1934. Chi ama i resoconti di viaggio non può perdere questo libro che si rivela una miniera di suggerimenti su posti carichi di storia anche se non così noti. L'unico appunto che mi sento di muovere al libro è il sospetto di una mancanza di spontaneità essendo stato scritto a distanza di lustri dal viaggio. Comunque si rimane impressionati dalla cultura di Fermor e figuratevi che - a sentir lui - era pure un disastro di studente (chissà quelli bravi!).
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