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La morte della Pizia
«Stizzita per la scemenza dei suoi stessi oracoli e per l’ingenua credulità dei Greci, la sacerdotessa di Delfi Pannychis XI, lunga e secca come quasi tutte le Pizie che l’avevano preceduta, ascoltò le domande del giovane Edipo, un altro che voleva sapere se i suoi genitori erano davvero i suoi genitori, come se fosse facile stabilire una cosa del genere nei circoli aristocratici, dove, senza scherzi, donne maritate davano a intendere ai loro consorti, i quali peraltro finivano per crederci, come qualmente Zeus in persona si fosse giaciuto con loro». Con queste parole spigolose e beffarde ha inizio "La morte della Pizia" e subito il racconto investe alcuni dei più augusti miti greci, senza risparmiarsi irriverenze e furia grottesca. Ma Dürrenmatt è troppo buono scrittore per appagarsi di una irrisione del mito. Procedendo nella narrazione, vedremo le storie di Delfi addensarsi in un «nodo immane di accadimenti inverosimili che danno luogo, nelle loro intricatissime connessioni, alle coincidenze più scellerate, mentre noi mortali che ci troviamo nel mezzo di un simile tremendo scompiglio brancoliamo disperatamente nel buio». L’insolenza di Dürrenmatt non mira a cancellare, ma a esaltare la presenza del vero sovrano di Delfi: l’enigma.
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ele0991 10 gennaio 2025
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alias_Riccio 01 dicembre 2024"Non esistono storie irrilevanti. Tutto è connesso"
Dürrenmatt reinterpreta uno dei miti più noti dell'antica Grecia con la propria irriverente ironia. Cionondimeno, non si limita ad irridere il mito lo sfrutta per stimolare la riflessione su come le parole possano plasmare le azioni di colui al quale sono destinate e se, pertanto, possa esistere il destino. L'autore contrappone due diverse visioni del mondo, impersonificate dai burattinai della storia: il veggente Tiresia, che trama a suon di oracoli per foggiare il mondo alla sua visione, e la Pizia Pannychis, che vaticina beffardamente perché il mondo va preso per quello che è. Anche qui, tuttavia, c'è un ribaltamento: quanto profetizzato con raziocinio al veggente cieco non si avvera ed egli è costretto ad ammettere che "quello che volevo non è accaduto", mentre il capriccioso e improbabile vaticinio della sacerdotessa disillusa ha "annunciato la verità". E subito appare un ulteriore piano di lettura su cosa sia la verità, che qui è qualcosa di puramente soggettivo. Nemmeno ascoltando quella che ciascun personaggio ritiene essere la verità, alla fine, si disvela una verità oggettiva, anzi… perché: "la verità resiste in quanto tale solamente se non la si tormenta".
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AlbertoD 29 febbraio 2024
Dopo "La panne", un’appassionante riflessione sulla giustizia umana, "La morte della Pizia" è il secondo racconto di Dürrenmatt che leggo. Attraverso un’originale e raffinata rivisitazione del mito di Edipo, e toni beffardi ed arguti, la riflessione questa volta si incentra su un altro tema caro allo scrittore svizzero: l’incapacità dell’uomo di penetrare l’essenza della cose. Non esistono verità assolute, ma queste sono soggettive e fumose (e nel racconto magistralmente rappresentate dalle ombre che si avvicendano attorno alla Pizia morente per raccontare, ognuna, la propria, solo per essere poi prontamente smentita dalla successiva). Nel bellissimo dialogo con la Pizia, lo dirà benissimo Tiresia che “la verità resiste in quanto tale soltanto se non la si tormenta”. Vano è ogni tentativo della ragione umana di giungere ad una forma assoluta di verità e di mettere ordine nel caos generato dal caso e dall’imponderabile che governano le nostre esistenze, nient’altro che un “nodo immane di accadimenti inverosimili che danno luogo, nelle loro intricatissime connessioni, alle coincidenze più scellerate”. Nel perenne dualismo caos-ordine, capriccio-ragione, Dürrenmatt sembra ancora una volta darla vinta al primo.
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