La vita apparente
Forse nessuno scrittore italiano di oggi è riuscito a stabilire un rapporto di complicità con i suoi lettori come Guido Ceronetti. Da qualche anno la terza pagina della «Stampa» è diventata per molti una sorta di casella postale, dove si va a controllare ogni giorno se è arrivato un biglietto dal solito, generoso, estroso mittente. Di che cosa ci parlerà questa volta? Di Mosè o di Barbara Stanwyck, dell’avanspettacolo torinese o di Zola, di Goya o dell’andropausa, di Santa Caterina o di Santa Teresa, di Clemenceau o di Orazio? Ci parlerà di queste e di tante altre cose, ritornerà sui suoi temi, ne introdurrà di nuovi e disparati, ci racconterà qualche viaggio, qualche lettura, ci darà consigli su come fare il tè – e sarà, volta a volta, fedele e libertino, ma sempre roso dal «verme metafisico». Ceronetti, anima «naturaliter gnostica», ama mescolarsi a tutto, perché a nulla appartiene, marionettista fantomatico che «non c’è», ma «è». Filologo e curioso, lettore di libri di «ogni» specie e insieme «lettore di strade, porte, vetrine, gente, cortili, insegne», trasforma l’articolo di giornale in giornale delle sue avventure. Il suo culto di devoto senza paramenti, ma con un dizionario sempre a portata di mano, è innanzitutto fondato sulla precisione della parola e dell’orecchio. Tutto – la letteratura o la storia o la filologia o la politica – è per lui ugualmente centrale, in quanto si riferisce a un unico centro che non ha nome. Così, con pari sicurezza, con pari vigore Ceronetti ci mostra il sovrapporsi di qualche austera parola latina di Spinoza e di un verso «incarnato» di Racine; o si addentra nelle viscere minerarie della «dannata, massiccia, cruciale seconda metà dell’Ottocento»; o colpisce la viltà del nostro mondo dinanzi al risucchio del «vuoto russo». In queste sue prose, che raccolgono articoli pubblicati quasi tutti fra il 1975 e il 1978, parla chi ha lottato per anni con le radici semitiche, per trarne le uniche memorabili versioni dalla Bibbia che siano apparse in lingua italiana, ma parla anche il vincitore di «appassionanti gare di tango, in compagnia di torinesi straordinarie, migliori delle bonaerensi del quartiere di Evaristo Carriego». Imprese ormai del tutto improbabili – eppure Ceronetti le ha compiute, e questo ci incoraggia a salire sulla sua agile «canoa che risale i fiumi sterminati dei crimine e della morte», sulle cui sponde crescono le foreste della «vita apparente».
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