Cronachette - Leonardo Sciascia - ebook
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Cronachette
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Descrizione


Manifestando pienamente la sua vocazione di scrittore-detective, Sciascia ci consegna con «Cronachette» una teoria di ritratti memorabili: «Vanno dai primi del secolo XVII ad oggi: ma in tutte è il senso e il senno dell’oggi, almeno nelle intenzioni; e così spero le intenda chi delle cose di oggi ha ancora il senso (come dire “il senso del pericolo”) e continua ad aver senno nel giudicarle» scriveva Sciascia nel risvolto della prima edizione. Si tratta spesso di figure misconosciute: don Alonso Giron, che, accusato dell’assassinio di un adolescente e giustiziato, fu protagonista di un funerale simile a un dipinto di Zurbarán; don Mariano Crescimanno, benedettino che intorno al 1735, a Modica, fu a capo di una «puzzolente carnale eresia» e quindi costretto in segrete fra le cui pareti urlava atrocemente giorno e notte; la Rosetta de Woltery, canzonettista del teatro San Martino nella Milano del 1913: la Milano di Verga e degli Scapigliati, che celava tuttavia in sé la Milano di Stendhal. E proprio Stendhal funge da cerniera con l’altro versante di «Cronachette», dove si evocano figure più note ma colte in frangenti poco noti: il principe Pietro Bonaparte, che fu amico di Victor Hugo e che avrebbe ispirato a Stendhal il personaggio di Fabrizio del Dongo; Mata Hari, a cui Sciascia carpisce inimmaginabili esibizioni al Trianon di Palermo; e Garibaldi, i cui meriti vengono in parte ridimensionati nella testimonianza di padre Giuseppe Buttà, censore dell’«inettitudine e pavidità» dell’esercito borbonico e insieme avversatore dell’‘eroe dei due mondi’, ridotto a «piccolo uomo incerto, spaurito e quasi svanito».

Dettagli

Tutti i dispositivi (eccetto Kindle) Scopri di più
112 p.
Reflowable
9788845986147

Valutazioni e recensioni

  • Renzo Montagnoli

    “I piccoli fatti del passato, quelli che i cronisti riferiscono con imprecisione o reticenza e che gli storici trascurano, a volte aprono nel mio tempo, nelle mie giornate, qualcosa di simile alla vacanza. Diventano cioè riposo e divertimento, come la lettura di un libro di avventure o poliziesco, come (ma non per me, ché rare volte ho tentato senza riuscire) lo scioglimento di un rebus o di un cruciverba. L’imprecisione o la reticenza con cui il fatto viene riferito è, naturalmente, la condizione indispensabile perché il divertimento scatti. Che è poi il gusto della ricerca, del far combaciare i dati o del metterli in contraddizione, del fare ipotesi, del raggiungere una verità o dell’istituire un mistero là dove o la mancanza della verità non era mistero o la presenza di essa non era misteriosa. Un giuoco ci spesso si accompagna, e lo eccita, un senso di puntiglio; ma qualche volta interviene anche una sorta di pietà.” E’ indubbio che la grande capacità di analisi di Leonardo Sciascia, quella continua ricerca dei come, dei dove, dei chi, dei se, ne faccia lo scrittore detective per eccellenza, ma non sono sempre i delitti irrisolti che stimolano la sua attenzione, anzi più spesso sono quelle mezze verità o addirittura delle pretese e non dimostrabili verità che lo attraggono irresistibilmente, costituendo il presupposto per un sottile gioco di disvelamento a cui gli è impossibile sottrarsi. Come il bimbo che cresce ossessiona i genitori con i suoi “perché”, l’autore siciliano è angustiato e divertito al tempo stesso dalle tante domande che gli balenano, che altri avrebbero dovuto porsi e che, per i motivi più svariati, non sono rientrate nella logica operativa. Sciascia non si smentisce al riguardo in ogni suo libro, con domande incalzanti, con contrapposizioni e con ipotesi sufficientemente plausibili, tanto che a forza di leggere le sue opere si viene presi da questa smania di non accettare mai a priori lo svolgimento dei fatti secondo la versione ufficiale, un dubbio sì corrosivo, ma che consente di aggiungere talvolta un tassello di verità a responsi lacunosi, se non fasulli. Queste Cronachette (nove per la precisione in 104 pagine) ne sono un chiaro esempio, con personaggi che non sono stati i protagonisti della Grande Storia, di quella che si studia e si accetta spesso supinamente. Eppure essi stessi, benché quasi ignoti, non poco hanno contribuito con la loro presenza, con i fatti e i misfatti compiuti a delineare quel grande ciclo dell’umana esistenza che ogni giorno trascorso fa parte della storia, di ciò che è stato e che, in un certo qual modo, contribuisce al concretizzarsi di quel che sarà. E così assurge al rito della memoria don Alonso Giron per un orrendo omicidio nella Palermo del VII secolo, frutto di due moventi, spesso mai presenti insieme, ma che qui coabitano a disegnare un quadro di truce criminalità: la passione e l’interesse. Il tutto senza perdere di vista il bon ton di un certo ceto che, fatta giustizia, non nega al reo un funerale e nemmeno anonimo, bensì pregno di esteriorità, quale si addice a un nobile. Chi mai sapeva, oggi, poi di Don Mariano Crescimanno, un benedettino che nella prima metà del XVIII secolo a Modica fu il promotore di una puzzolente carnale eresia e proprio per questo fu costretto fra le mura di segrete in cui urlava, inascoltato, giorno e notte? Poi ci sono anche personaggi femminili, come Mata Hari, che si esibisce in un teatro popolare di Palermo o la sventurata Rosetta, cantante di modeste pretese, peripatetica e vittima di un’omertosa polizia, che si aggira nell’ombra della Milano della scapigliatura. Non mancano certe chicche come il Manzoni e il linciaggio del Prina, e la testimonianza di padre Giuseppe Buttà sull’operato di Garibaldi, i cui meriti vengono largamente ridimensionati. Della passione per Stendhal è poi testimonianza la vicenda del principe Pietro Bonaparte, amico di Victor Hugo e che sembrerebbe aver ispirato a Beyle il personaggio di Fabrizio del Dongo nella celeberrima Certosa di Parma. Figure indubbiamente lontane nel tempo che, più che emergere dalla nebbia, si stagliano in essa come improvvise ed effimere schiarite, una memoria che li illumina per poi ritornare, esaurita la curiosità, nella densa caligine dell’oblio. Ma per uno non è così, per quell’uomo con il viso nascosto da un passamontagna, delatore dopo il colpo di stato di Pinochet e responsabile della scomparsa di tanti suoi ex compagni del partito socialista di Allende. Personaggio complesso, è il Giuda del XX secolo, con tanto di rimorso e una vita spezzata, moralmente e fisicamente. E fra i titoli a forte richiamo di giornali scandalistici non poteva mancare quello che parla dell’inesistenza di Borges, che sarebbe stato un’invenzione, provocando però così l’effetto opposto, cioè rivestendo di mito uno scrittore che già era un mito. Cronachette è forse una produzione minore, in cui pare più evidente che in altre opere il divertimento di Sciascia nello scoprire, pazientemente, come un archeologo, verità sepolte, nel dialogare con se stesso alla ricerca di una verità che possa essere più plausibile. Da leggere, per condividere con l’autore siciliano il piacere di dare luce a ciò che è sempre stato in ombra.

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Foto di Leonardo Sciascia

Leonardo Sciascia

1921, Racalmuto

Leonardo Sciascia è stato uno scrittore e uomo politico italiano. Esordisce sotto il segno di una prosa poetica (Favole della dittatura, 1950; La Sicilia, il suo cuore, 1952) che lascia però presto il passo ad una vena che si rivelerà per lui più feconda. A dire dello stesso Sciascia, la sua cifra più autentica affonda infatti le radici in «una materia saggistica che assume i modi del racconto». Questa direzione è subito evidente fin da Le parrocchie di Regalpetra (1956) e Gli zii di Sicilia (1958), che mostrano come gli spunti di cronaca isolana si sappiano fare pretesto e cornice per indagare sul costume sociale e le sue degenerazioni.Esempi ancor più compiuti in tal senso saranno Il giorno della civetta (1961) e A ciascuno...

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