Questo è il primo romanzo di Grazia Deledda che leggo e che mi ha profondamente colpita. La sua penna ha qualcosa di evocativo e tagliente, radicata nella terra sarda, nelle sue tradizioni e nella vita semplice, dura, ma intrisa di dignità di chi la abita. Leggere i nomi, le espressioni quotidiane, persino il “Nel nome del Padre, del Figliuolo...” nel segno della croce, mi ha fatto sentire a casa, mi ha fatto rivivere la voce di mia nonna, sarda, che ho perso e che ho ritrovato viva in queste pagine. La trama si apre e si chiude con Olì, una giovane donna illusa e innamorata di un uomo che non può avere perché sposato. Cacciata dalla famiglia per la gravidanza, scompare dopo aver abbandonato il figlio Anania davanti alla casa del padre naturale. Quel figlio diventa l’unico segno tangibile di lei, della sua colpa e del suo amore mancato. Cresciuto con affetto nella casa paterna, Anania porta però dentro un peso che lo divora: l’abbandono della madre è una ferita che nessun successo, nessun amore, neppure quello per Margherita – simbolo di vita e riscatto – riesce a sanare. Quello che più ho amato è la complessità dei personaggi: Olì non è una “madre snaturata”, è una donna spezzata, vittima della cultura del tempo; Anania non è solo un figlio abbandonato, è lacerato tra il desiderio di riscatto e il richiamo delle radici torbide che lo fanno sentire, come dice Deledda, “vile, viscido, nero, carne della carne di sua madre, e per questo anch’egli delinquente, misero, abbietto”. Deledda scava l’anima umana senza moralismo, e fa della Sardegna molto più di un’ambientazione: la natura è viva, partecipe, con le sue leggi non scritte che pesano come macigni. Cenere è anche un romanzo sulle origini, sul determinismo sociale: possiamo davvero liberarci dal nostro passato? E a quale prezzo? Una lettura intensa, che lascia traccia.
Cenere
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"Cadeva la notte di San Giovanni. Olì uscì dalla cantoniera biancheggiante sull'orlo dello stradale che da Nuoro conduce a Mamojada, e s'avviò pei campi. Era una ragazza quindicenne, alta e bella, con due grandi occhi felini, glauchi e un po' obliqui, e la bocca voluttuosa il cui labbro inferiore, spaccato nel mezzo, pareva composto da due ciliegie. Dalla cuffietta rossa, legata sotto il mento sporgente, uscivano due bende di lucidi capelli neri attortigliati intorno alle orecchie: questa acconciatura ed il costume pittoresco, dalla sottana rossa e il corsettino di broccato che sosteneva il seno con due punte ricurve, davano alla fanciulla una grazia orientale. Fra le dita cerchiate di anellini di metallo, Olì recava striscie di scarlatto e nastri coi quali voleva segnare i fiori di San Giovanni, cioè i cespugli di verbasco, di timo e d'asfodelo da cogliere l'indomani all'alba per farne medicinali ed amuleti."
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Autore:
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Editore:
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Collana:
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Anno edizione:2007
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Formato:Tascabile
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Ely 16 marzo 2025Una storia su cui riflettere e in cui immergersi
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AleF 10 maggio 2024Cenere
"Cenere" di Grazia Deledda è un'opera che cattura l'anima della Sardegna con una narrazione intensa e lirica. Attraverso il destino tragico del protagonista, il libro esplora temi universali di sacrificio, amore e redenzione. Un classico indimenticabile che amo particvolarmente.
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