Chiamate la levatrice, frutto dell’esperienza maturata in diversi anni dall’autrice in qualità appunto di levatrice, è un’opera particolarmente interessante, anche perché, pur essendo basata su un diario, è stata stilata come un vero e proprio romanzo, con un “IO” narrante che è appunto Jennifer Worth. Ambientato a Londra, nell’Est Side, il porto della città, agli inizi degli anni Cinquanta, al di là della descrizione degli eventi, cioè dei parti, di cui l’autrice è stata protagonista, Chiamate la levatrice è anche un ritratto impietoso, ma sincero, delle condizioni di vita della povera gente, inasprite dalle difficoltà economiche conseguenti la guerra da poco finita. Ci sono descrizioni che richiamano le situazioni di estrema indigenza così ben descritte da Archibald Cronin e da Charles Dickens in tante loro opere con la differenza che i due narratori, pur osservando situazioni reali, erano ricorsi alla loro vena creativa, cioè inventando fatti e personaggi, mentre nel caso di Jennifer Worth si tratta di vicende realmente accadute in cui lei è stata testimone e sovente coprotagonista. Il grigio di una metropoli la cui aria è ammorbata dalle industrie finisce con il diventare anche quello della vita di tanti miserabili senza speranza e in quanto tali particolarmente prolifici, tanto che famiglie con una decina di figli non erano da considerare una rarità (nel libro ce una donna al suo ventiquattresimo parto); tuttavia, l’autrice è capace di descrivere situazioni e personaggi con un senso di autentica pietà e con un profondo rispetto per ogni individuo, per il ricco e per il povero, per l’erudito e per l’incolto. Comunque, se uno non ha mai assistito a un parto, qui ha l’opportunità di essere reso opportunamente edotto, ma in modo semplice ed efficace, così che si finisce con l’appassionarsi a quel grande evento che è la nascita.
Chiamate la levatrice
La cronaca, quasi un diario, delle giornate di una levatrice nell'East Side di Londra inizi anni Cinquanta. Con lei si entra nella realtà delle Docklands, vite proletarie che sembrano immagini della plebe ottocentesca più che cittadini lavoratori del democratico Novecento. Si entra in questa desolazione impensabile con una voglia di verità quotidiana raramente riscontrabile in un libro, ma anche con una rispettosa allegria, con la sicura fiducia che quel mondo stia per finire, senza rimpianti, grazie ai radicali cambiamenti apportati dal Sistema sanitario nazionale appena nato. Come poi fu, almeno fino ad oggi. La fresca verve di Jennifer Worth, nel trattare una materia così cruda, crea una formula ingegnosa (e di grande successo sia letterario che come fiction televisiva). L'eroismo quotidiano di interventi clinici spesso drammatici, si mescola alla denuncia sociale, alla fiamma inestinguibile dei sentimenti umani, e alla ricchissima quantità di storie e ritratti. Accanto a questi, la galleria, tenera, nobile e a tratti comica, delle giovani levatrici e delle suore del convento di Nonnatus House, da cui le ragazze dipendevano professionalmente e dove abitavano. Su questa testimonianza aleggia un lieve "effetto Dickens" con un tocco di innocente gaiezza, che però non nasconde un monito evidente a favore delle politiche sociali solidaristiche, a non smantellare, per la scarsa memoria del passato, gli strumenti che hanno permesso di diffondere dignità umana.
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Autore:
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Traduttore:
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Editore:
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Collana:
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Anno edizione:2014
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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Renzo 07 gennaio 2023Dedicato a chi aiuta a nascere
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ho comprato questo libro dopo essermi totalmente innamorata della serie tv tratta proprio da esso.ho visto tutte le stagioni e dopo ho deciso di comprarlo.il libro è bellissimo, ti riporta all'Inghilterra di quegli anni. E' capace di farti sentire la gioia delle nascite, la puzza di urina, di vedere il sudico delle case e la felicità di queste ragazze che fanno un lavoro meraviglioso. il libro è stupendo ma consiglio di leggerlo prima di aver visto la serie tv altrimenti per molte cose non c'è più l'effetto sorpresa!
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Giorgia Bianca 22 agosto 2017
E' un peccato che abbia scoperto questo libro solo grazie alla serie tv "call the midwife", dovrebbe avere molta più diffusione. Devo dire che sembra proprio un diario personale dove l'autrice racconta le sue memorie di quando era una levatrice negli anni 50 e lavorava nel East End di Londra. Mi è piaciuta la descrizione degli usi e costumi dell'epoca e sono rimasta particolarmente meravigliata del fatto che ancora oggi gli "ospizi" sono conosciuti per essere dei luoghi orribili. Sicuramente, le persone che hanno avuto la fortuna di vivere negli anni 50, avranno letto questo libro e rispolverato i loro ricordi legati a quegli anni; essendo stati testimoni, si saranno sentiti come dei personaggi della storia. Per i giovani, invece, come me, questa lettura mi ha portato ad esplorare e ad apprezzare maggiormente com'era vivere in quel tempo. Quindi, riassumendo, questo libro è adatto proprio a tutti. La protagonista Jennifer racconta le storie delle partorienti che ha aiutato. Si vede che le memorie sono state scritte separatamente perchè, spesso, alcune cose vengono ripetute. L'unica cosa che non mi è piaciuta è stato passare dal caso assolutamente commovente della signora Jenkins, al capitolo successivo di Fred e l' allevamento dei maiali.
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