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Un uomo attraversa, in maniera innocua il centro di una sala scommesse dell’ippodromo di una grande metropoli. Nel frattempo l’ex detenuto Johnny Clay ha progettato un colpo da due milioni di dollari e pochi uomini gli saranno sufficienti per portare a termine una rapina ai danni della ricevitoria scommesse proprio di quell’ippodromo: un barista, un ex – allibratore, un lottatore, un agente corrotto, un cecchino. Non vogliamo rovinarvi il gusto di vedere o, come nel nostro caso, di rivedere uno dei migliori e sottovalutati capolavori del cinema d’azione dei ’50, ingiustamente ignorato dagli incassi dell’epoca, ma non in termini di una critica che seppe giudicare Kubrick come il nuovo Orson Welles. La frase fuori campo di cui sopra, scandita nel mezzo di una sala d’ippodromo affollata per il fine settimana, apre la rivisitazione della caccia all’uomo celebrata dal regista Newyorkese tra i più influenti e talentuosi del secolo passato; con la locazione degli avvenimenti e il momento nel quale questi si verificano che accompagneranno lo spettatore lungo tutto il percorso del film. Kubrick Non ancora pronto per i grandi successi degli anni ‘60 e ‘70, segnati da “2001 Odissea nello Spazio” ed “Arancia meccanica”, ad appena cinque anni dalla “Giungla d’Asfalto” di John Houston, riprese l’idea della rapina organizzata da un manipolo di uomini per scrivere un nuovo metodo narrativo. Se nel film di Houston il susseguirsi della trama avveniva in maniera cronologica qui al contrario la trama si attorciglia su se stessa con un cambio continuo di locazione e tempi che impone allo spettatore la rivisitazione mnemonica di ogni avvenimento. Prima infatti vengono presentati alcuni eventi che ne precedono altri e che assumeranno pieno significato solamente a pellicola terminata. L’organizzazione macchinosa del colpo occupa quasi la totalità della pellicola e Hayden imperversa anche in questo film, proprio come nel film di John Houston, grazie a un volto sfregiato e a un carattere nuovamente completamente privo di scrupoli, come di rado si sono potuti ammirare nel mondo della celluloide e che forse solamente il compianto Lee Van Cleef dei film di Sergio Leone poteva vantare. Hayden - Clay ha preparato i suoi uomini, tutti non professionisti ed avvezzi a ben altro genere di mestieri, nei più minimi particolari. Un gruppo di personaggi ovviamente loschi ma non cattivi, che si preoccupano di salvare le apparenze nei confronti di mogli e datori di lavoro e che probabilmente nemmeno hanno deciso come impiegare la loro fetta di bottino. Per giudicare l’importanza di “The Killing” basti pensare che Tarantino, una quarantina d’anni, dopo riprese l’idea dello spostamento temporale delle vicende del film proprio per dare anima e corpo al suo più incredibile capolavoro: “Pulp Fiction”.
Nel 1956, quando realizzò "The Killing", Stanley Kubrick aveva ventotto anni. A sedici era diventato collaboratore della rivista THE LOOK, realizzando i suoi primi servizi fotografici. A diciotto era andato a vivere al Greenwich Village con la prima moglie, Toba Metz. Prima del ’56 aveva già girato diversi corti e due lungometraggi, tra cui "Fear and Desire", che in seguito rinnegherà definendolo “pretenzioso in modo imbarazzante”. "Rapina a mano armata", ancora una volta titolo italiano che non rende giustizia all’originale "The Killing", fu un miracolo produttivo frutto dell’incontro con James B. Harris, presentato a Kubrick dall’amico comune Alexander Singer, fotografo di scena in "Il bacio dell’assassino" (secondo lungometraggio del regista, girato nel ‘55). A scoprire il romanzo da cui il film è tratto fu proprio Harris. I due audaci cinefili sostituirono alla linearità classica del film di rapina (ideazione e azione) dei complicati movimenti all’interno della temporalità della trama. Dopo una detenzione di cinque anni Johnny mette insieme una banda di delinquenti improvvisati, ma tutti estremamente bisognosi di una svolta nella loro vita, per svaligiare le casse di un ippodromo. Il piano è studiato e preparato minuziosamente in ogni particolare: dagli orari alla suddivisione dei compiti, dalla conoscenza di ogni metroquadro dell’ippodromo alle possibili vie di fuga. Ovviamente ciò che non è prevedibile e pianificabile a tavolino è l’animo umano e le reazioni dei singoli individui ad eventi che, in una situazione di altissima tensione, mettono di fronte a scelte cruciali e a comportamenti decisamente lontani dalla freddezza necessaria per portare a termine un colpo del genere. Anche se la rapina in sé riesce; ma i conti con l’ansia di riscatto, il tentativo di rivalsa, l’infedeltà e il tradimento si presentano quando la banda è pronta a dividersi il malloppo, e tutto immagina fuorché un epilogo sottoforma di carneficina. Ma non per tutti è finita, non ci sono tutti i protagonisti della vicenda in quel bagno di sangue: Johnny ce l’ha fatta, i soldi li ha lui ed ora la sua vita potrà finalmente cambiare, magari in un altro paese…sempre che i sogni non se li porti via il vento… Questo film, all’epoca giudicato un ottimo B-movie, è diventato col tempo un cult per cinefili : Kubrick non si preoccupa di frammentare il tempo, di sovrapporre e ripetere azioni già viste mostrandole dal punto di vista di un altro personaggio. Adatta il romanzo per trasporlo su pellicola controllando il tempo, braccando ognuno dei protagonisti con la sua cinepresa come un cacciatore con le sue prede. Per la prima volta il cinema si trova alle prese con la rottura della continuità narrativa (negli anni la tecnica verrà affinata e resa segno di genialità stilistica…vedi Tarantino) che permette allo spettatore di confrontarsi con le diverse prospettive della vicenda nonché di divenire giudice morale di questa trovandosi alle prese con le motivazioni che spingono i singoli individui a comportarsi in una certa maniera; tutto questo in "Rapina a mano armata" è esaltato da un ritmo incalzante che mantiene la suspense fino all’imprevedibile finale, imperniato da un umorismo nero simbolicamente usato come mezzo irriverente per difendersi dalle avversità. La scelta del cast è un segno distintivo della conoscenza enciclopedica del genere noir da parte di Kubrick e una conferma del fatto che nulla nei lavori del regista verrà lasciato al caso o all’imposizione dei produttori: la maggior parte degli attori della pellicola è stata protagonista o comprimaria di lusso di film di genere girati tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio dei Cinquanta, a cominciare dal bravissimo Sterling Hayden (Giungla d’asfalto), passando per Elisha Cook jr. (Il grande sonno – Il mistero del falco), Ted De Corsia (La città nuda), per finire alla dark lady che porta solo guai , Marie Windsor, apprezzata nel ruolo della vedova ne "Le iene di Chicago". Il regista inglese parlando del suo film disse: ”I gangster e gli artisti sono uguali agli occhi delle masse: sono ammirati, adorati, ma c’è sempre chi si dà un gran da fare per distruggerli”! È straordinario trovarsi alle prese con una pellicola come questa dopo magari aver amato e consumato tutti i gioielli cinematografici che Stanley Kubrick ha scolpito nella storia da "Spartacus" (1960) in poi (vale a dire i suoi capolavori più famosi e apprezzati): è quella sorta di magia che il cinema, così come l’arte in genere, trasmette permettendoci di immaginare le diverse fasi della vita di un genio attraverso le sue opere.
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