Città aperta
Nato da madre tedesca e padre nigeriano, formato alla Nigerian Military School di Zaria e trapiantato adolescente negli Stati Uniti, lontano da affetti e radici, il narratore Julius, all'ultimo anno di specializzazione in psichiatria, non appartiene a nessun luogo. Quando comincia a vagare per le strade di New York, nell'autunno del 2006, lo fa con il distacco dell'outsider, la profondità dell'intellettuale e l'agio del flâneur. La migrazione degli uccelli è l'occasione per riflettere sul «miracolo dell'immigrazione in natura», ai cartelli che annunciano la chiusura della catena Tower Records fanno da contraltare le meditazioni sulla musica amata, Mahler in testa, e un acquazzone sulla Cinquantatreesima è causa di una precipitosa ritirata nell'American Folk Art Museum e della conseguente fascinazione per la pittura di John Brewster lì esposta. Di casualità in intenzione, Julius si muove nelle geografie newyorchesi incontrando persone di ogni classe e cultura, vedendo scorci scolpiti o in mutamento, lasciando che ogni impressione si depositi sul fondo della coscienza e da lì, come cerchio in uno stagno, si propaghi ad altri cerchi, ad altre impressioni. Molte di esse rilucono attraverso il prisma del colore della pelle: ascoltando un concerto alla Carnegie Hall, il narratore nota stancamente quanto siano rari gli spettatori neri nella sala, e un taxista sulla Sixth si mostra indignato al mancato saluto di un «fratello» come lui. L'outsider Julius rifiuta recisamente quelle istanze di appartenenza («non ero dell'umore per sopportare gente che pretendeva qualcosa da me»), e tuttavia la cartografia del sopruso che, con spirito quasi archeologico, va scavando nelle pieghe della città - quando visita l'antico «luogo di sepoltura per negri» di Brooklyn, o raccoglie il racconto del mite lustrascarpe haitiano o quello rassegnato del giovane liberiano recluso nel centro di detenzione per clandestini del Queens - incide necessariamente la questione identitaria. Mentre accoglie universi, Julius rimane impenetrabile. La sua storia personale resta semioscura perfino quando affronta un viaggio a Bruxelles per riscoprirla, e così i cerchi sullo stagno si ricompongono su segreti scuri come quell'acqua. *** «Bellissimo, acuto e originale». James Wood, «The New Yorker» *** «Il primo passo di Teju Cole verso la posterità». «Los Angeles Times»
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