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Recensioni Come cavalli che dormono in piedi

Recensioni: 4/5
"Perché proprio qui e ora, in viaggio verso l’alba, inseguito dalla notte di novembre, alla vigilia dei giorni dei Morti, ritrovo la pienezza del mito di Europa, la terra del tramonto dove i popoli si ammassano e non esiste alternativa fra il massacro e la coabitazione?”

Questo è il racconto di un viaggio in treno, anzi di molti viaggi in treno. Il narratore parte per la Galizia: che prima nel 1914 e poi nel 1915 fu teatro di pesantissimi combattimenti fra russi e austro-ungarici. Lì scorre il primo sangue della grande guerra. Lì il narratore raccoglie le prime voci, le voci che vengono dalle piccole luci dei cimiteri polacchi dove le tombe si lucidano sino a farle brillare. E quelle voci si sommano alle altre che progressivamente Rumiz raccoglie: i tedeschi, gli italiani, gli austriaci sembrano parlare la stessa lingua della morte subita. E quei cimiteri si rivelano abitazioni create per l'eterno. Sul treno che lo riporta in Italia dalla Polonia il narratore fatalmente smarrisce il quaderno degli appunti. Quella perdita gli stringe il petto come una morte. Vi legge con nettezza il rischio della perdita della memoria storica che è di fatto il segno più luttuoso a cui noi fragili umani siamo esposti. Per fortuna arrivano come benedizione i nuovi racconti orali, l'aprirsi delle cassapanche dove le famiglie tengono come preziosi cimeli i diari, gli appunti, le cartoline, gli effetti personali di chi non è più. Da quei racconti la memoria risospinge il racconto in Russia, in Ucraina, a Leopoli, là dove si destano le rimembranze di alpini passati dalla guerra alla rivoluzione leninista. La lenta tradotta su cui viaggia il narratore accoglie fantasmi di soldati: i fantasmi dei vivi si accompagnano a quelli dei morti e il viaggio finisce a Redipuglia...)
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