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“Non è ancora finita!”. Così lo scrittore sembra preventivamente rassicurare chi si accinge alla lettura. Ma lo fa per un’unica ed ultima volta prima di scaraventare l’ignaro lettore all’interno di un cubo metallico in compagnia di inquietanti creature. Prima ancora di staccare biglietti per un volo interplanetario, per un giro sulla giostra del tempo, per una visita inedita nella città natale, per un viaggio senza guida all’interno di se stessi. Not Yet The End, apparso nel 1941 su Captain Future è il primo racconto di fantascienza di Fredric Brown che in precedenza si era cimentato con alcuni racconti gialli pubblicati sui cosiddetti pulp-magazines molto in voga in quegli anni. Il suo primo romanzo noir, The Fabulous Clipjoint (Il sangue nel vicolo), gli vale nel 1947 il Premio Edgar Allan Poe. Ma sono proprio i racconti che alludono a mondi diversi e a realtà alternative, più di un centinaio fino al 1965, che insieme a cinque romanzi, assicureranno allo scrittore di Cincinnati fama duratura e un posto di rilievo fra gli autori di science-fiction di tutti i tempi. Gli stessi racconti che la collana Millemondi di Urania pubblicherà nei primi due numeri di questo 2013 sotto i titoli di Cosmolinea B-1 e Cosmolinea B-2. Narratore fine, accorto e sorprendente, con un gusto del paradosso avvertibile sin dai titoli delle sue storie, Brown allestisce un galattico teatro dell’assurdo che, a differenza del teatro tutto terrestre che più o meno negli stessi anni adopera quella medesima etichetta lasciando gli spettatori nell’inutile attesa dell’impossibile soluzione, ha proprio nel colpo di scena la sua meta e la sua ragione d’essere. L’autore gioca con le parole e con le frasi, scomponendole e ricomponendole come aveva imparato a fare con il lavoro di tipografo e correttore di bozze nei suoi anni più giovani. E la stessa sapienza compositiva adotta con le sue storie. I protagonisti dei suoi racconti sono spesso scrittori, giornalisti, tipografi. O ancora editori. Tutta gente che nei confronti delle parole può vantare familiarità e dimestichezza. Come nei confronti del sogno. E Brown è un assiduo frequentatore dei sogni. Si vede dal rispetto e dalla competenza con cui ne parla. Da come indugia nella dimensione onirica. Dalla capacità di rappresentarne le atmosfere rarefatte e la densità dei piani di coscienza. Anche se si tratta di un sognatore vigile e senza illusioni. I personaggi, ed in particolare le donne, sono appena accennati ma non sono privi di spessore. E’ l’intuizione che è alla base del racconto a tenere banco, prima di passare la mano all’improvvisa rivelazione, alla risoluzione inattesa, in un continuo gioco di specchi e di rimandi, nel variare delle situazioni, nell’inversione dei punti di vista. Con frequenti escursioni nella regione tra filosofia e scienza, come appare evidente più che altrove nel racconto Paradox lost (Paradosso perduto), autentico manifesto della sua Po-etica, in cui a distanza di cinque anni, nella stessa classe (o è invece nello stesso momento a cinque classi di distanza?), si confrontano, in maniera esilarante, un filosofo ed uno scienziato. Ma nessuno si offenderà se gli appassionati del genere troveranno più emblematiche e rappresentative storie come Daymare (Incubo ad occhi aperti), Pi in the Sky (Che succede lassù?), Arena (Il duello), From These Ashes (Da queste ceneri). La raccolta è un’occasione non facilmente ripetibile per avvicinarsi, dapprima con circospezione, poi in maniera sempre più decisa e definitiva, ad uno scrittore che ha saputo intrattenere, coinvolgere e sorprendere insegnando, allo stesso tempo, che non esiste una sola realtà. E che tutti i mondi sono possibili. Anche il nostro. (Gigi Stabile)
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