Don Chisciotte e i suoi fantasmi
«In un'angusta cella di prigione, in una città spagnola il cui nome non vogliamo ricordare, forse Castro del Río o forse Siviglia, un uomo d'armi e di lettere, cinquantenne e già stanco, concepisce un personaggio a propria immagine e somiglianza, un cavaliere un po' più ridicolo e più coraggioso di lui, un individuo strenuamente deciso a combattere le quotidiane ingiustizie del mondo. Tra quattro umide pareti, "ove ogni scomodità ha il proprio seggio e ogni triste rumore prende dimora", pareti che certamente gli ricordano la sua lunga prigionia africana, il detenuto Miguel de Cervantes Saavedra dà vita a un vecchio hidalgo che rifiuta di piegarsi alle convenzioni menzognere di questo mondo e decide di obbedire unicamente alle norme dettate dalla sua coscienza». Miguel de Cervantes finge di aver trovato il manoscritto del Don Chisciotte opera di un certo Cide Hamete Benengeli, un moro. Sono gli anni, quando lui scrive, in cui i moriscos, gli arabi convertiti, sono cacciati dalla Spagna: ultimo atto da parte del potere di un tentativo di limpieza de sangre, e di invenzione di una identità pura della Spagna. Quindi l'attribuzione a un moro e a una lingua vietata del suo capolavoro è già di per sé un atto sovversivo. E non è se non il primo degli innumerevoli doppi che si trovano in quest'opera-specchio segreto. Sono i «diversi altri», i «fantasmi» di cui Cervantes, per caso o per studio, dissemina il primo e più fondamentale romanzo moderno. Questa fitta, ingegnosa e sorprendente analisi di Alberto Manguel (Buenos Aires 1948, scrittore e uno dei lettori del cieco Borges nonché fondatore di un rivoluzionario Centro internazionale sulla lettura) li svela puntigliosamente.
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Anno edizione:2023
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