(Bologna 1235 ca - Monselice, Padova, 1276) poeta italiano. Giudice di professione e uomo politico, fu esiliato da Bologna insieme alla fazione dei Lambertazzi (1274) allorché questi vennero sopraffatti dai Geremei, e riparò con i suoi a Monselice. La sua produzione comprende 5 canzoni, 15 sonetti, 2 frammenti, cui si aggiungono 3 canzoni di incerta attribuzione. Da un esercizio poetico tipicamente siculo-guittoniano, attestato da un paio di artificiose canzoni e da un riverente sonetto a Guittone, giunse poi a rivoluzionare, in aperta polemica con lo stesso Guittone, la moda poetica tradizionale. Gettò i primi fondamenti della nuova poesia con la canzone dottrinaria Al cor gentil rempaira sempre Amore e con alcuni luminosi sonetti amorosi, nei quali sono preannunciati temi tipici della poesia a venire (l’inquietudine sentimentale, il «saluto», la lode della donna), svolti nel duplice registro dell’amore beatificante e dell’amore angoscioso, l’uno ripreso e approfondito da Dante, l’altro portato a nuova intensità psicologico-espressiva da G. Cavalcanti. Il ruolo di anticipatore dello stilnovo fiorentino riconosciutogli da Dante è motivato dalle sue innovazioni dottrinarie e melodiche: l’identità di amore e gentil cuore, posta in relazione analogica col mondo della natura (stellare, minerale, fisica) e della trascendenza (l’influenza di Dio sugli angeli), è psicologicamente inquadrata nel rapporto filosofico tra potenza e atto. La critica recente tende a ridurre la «novità» di G., attribuendo maggior forza innovativa ai suoi successori toscani: tuttavia non si può non riconoscere che costoro lo considerarono un caposcuola, inventore di situazioni e di stilemi capaci di esprimere i moti più riposti dell’anima, conformi pertanto a quel bisogno di interiorizzare e codificare la casistica d’amore che è all’origine di una tradizione lirica culminante in Petrarca e nei petrarchisti.