“Sono il guardiano del faro” è un’antologia preziosa, da assaporare a piccoli sorsi per godere appieno della magia malinconica che viene sprigionata dalle sue pagine. Oniriche e kafkiane, le novelle di Faye mi hanno riportato alla mente un vero e proprio maestro della forma breve, quel Dino Buzzati che non a caso viene citato nel racconto che da il titolo all’antologia, creando un parallelismo tra il guardiano del faro di Faye e il tenente Drogo, protagonista de “Il deserto dei tartari”. Racconti che sono come piccoli diamanti dalle mille sfaccettature, in grado di riflettere i sentimenti più profondi dell’animo umano. Storie composte da frammenti onirici e schegge di realtà, in cui perdersi, abbandonando per qualche ora il sentiero battuto della nostra vita.
Sono il guardiano del faro
Cammina in punta di piedi, quasi sussurra, saltando dall'ultima pagina di un racconto alla prima dell'altro. Un medesimo protagonista senza volto, il viaggiatore, fuoriesce fra le pagine del testo come si trattasse di un libro animato, mostrandosi rapido come un'ombra.??Éric Faye disegna con tratto leggero un itinerario fantastico che sembra poter smantellare immagini, idee narrative, residui onirici propri di un'iconografia quasi metafisica: s'inerpica per muraglie impossibili da dominare, brancola da solo nella foresta, piomba con lo sguardo su di una spiaggia greca, affonda sul sedile di un treno infinito e da un treno simile si getta in corsa sotto al buio siberiano, per ritrovare una città scomparsa dalle mappe e quindi dal mondo.?Nove racconti per nove lati di uno stesso poligono non a caso irregolare e pertanto difficile da cogliere a pieno; una sfida letteraria classica, l'eterno tema del viaggio, affrontata però al grado zero – appena tratteggiati i luoghi, come i personaggi – per riflettere direttamente sull'esilio, sulla solitudine, sulla nostalgia e sul pericolo non di un uomo, ma dell'uomo in sé.??Sullo sfondo, quindi, il movimento stesso – spazio, ma anche tempo – un «tourbillon di anime», una continua turbolenza; persino quando il viaggiatore è guardiano di un faro situato in mezzo al mare, immagine tipica dell'immobilità. Anche se rinchiuso fra quattro mura, anche se in completa solitudine, l'uomo che sogna, riflette e scrive è gettato su di una vertigine che affaccia sul mare o verso oriente; su di un'orizzonte liquido e teso verso l'ignoto che richiamandoci a sé ci spinge con forza a ritrovare l'altro e condividere la strada.
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Paolo Cabutto 27 novembre 2016
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