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Leggenda privata - Michele Mari - ebook
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Descrizione


«Se la madre non lo difendeva, si formava talvolta nella mente del figlio la delirante intenzione di difenderla lui, come si evince da una fotografia scattata dal padre: autentico scudo umano, il figlio si frappone con uno sguardo che dice: "Dovrai passare sul mio cadavere"». L'Accademia dei Ciechi ha deliberato: Michele Mari deve scrivere la sua autobiografia. O, come gli ha intimato Quello che Gorgoglia, «isshgioman'zo con cui ti chonshgedi». Se hai avuto un padre il cui carattere si colloca all'intersezione di Mosè con John Huston, e una madre costretta a darti il bacino della buonanotte di nascosto, allora l'infanzia che hai vissuto non poteva definirsi altro che «sanguinosa». Poi arriva l'adolescenza, e fra un viscido bollito e un Mottarello, in trattoria, avviene l'incontro fatale: una cameriera volgarotta e senza nome che accende le fantasie erotiche del futuro autore delle Cento poesie d'amore a Ladyhawke... Ma è davvero una ragazza o un golem manovrato da qualche Entità? Assieme a lei, in una «leggenda privata» documentata da straordinarie fotografie, la famiglia dell'autore e il suo originalissimo lessico. E poi la scuola, la cultura a Milano negli anni Sessanta e Settanta, e alcune illustri comparse come Dino Buzzati, Walter Bonatti, Eugenio Montale, Enzo Jannacci e Giorgio Gaber. Chiamando a raccolta tutti i suoi fantasmi e tutte le sue ossessioni (fra cui un numero non indifferente di ultracorpi), Michele Mari passa al microscopio i tasselli di un'intera esistenza: la sua. Un romanzo di formazione giocoso e serissimo che è anche un atto di coerenza verso le ragioni piú esose della letteratura.
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Dettagli

Testo in italiano
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Reflowable
9788858425411

Valutazioni e recensioni

Rosettamenichetti
Recensioni: 5/5
Vera letteratura

Ritengo Michele Mari forse l’unico vero scrittore oggi in Italia. Questo libro è una autobiografia ma con tutta la ricchezza letteraria di cui Mari è maestro. Non si tratta di una semplice autobiografia: si tratta di vera letteratura. Per gli amanti del genere leggere Mari è una festa. La storia è più che sanguinosa, è davvero dolorosa e violenta. Ma che linguaggio! Lo consiglio a chi ha nostalgia di quella che fino a cinquanta anni fa era considerata arte letteraria.

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Recensioni: 5/5

Com'è e come non è, qualche giorno fa, ho finito di leggere Leggenda Privata, di questo tal scrittore, Michele Mari, del quale alcune persone, a dire la verità, mi avevano accennato, sebbene un po' en passant: «Bravo, questo Mari, bravo!», mi dicevano, distratti, col sorriso a fior di labbra, salvo poi scuotere la testa, come per riprendersi, e tornare a parlare d'altro. Ora, l'unica domanda sensata che riesco a formulare è: Perché non mi hanno parlato di Michele Mari più spesso? O meglio: Perché tutti non parlano di Michele Mari tutti i giorni, come sarebbe giusto? Non è data di saperla, ohibò, la risposta a queste (a mio avviso) legittime domande. Sicché, non mi rimane che parlare del libro. Ma per dire cosa? Per esempio, che era da molto tempo che non rimanevo colpito da cotanta e potentissima ricchezza lessicale. Ogni pagina di questo libro è una primavera di suoni, segni e significati, che fiorisce sotto gli occhi del lettore e si cristallizza nelle sue emozioni. Appena terminato il libro m'è venuta voglia di ricominciare a leggerlo - cosa che, comunque, pianifico di fare - per soffermarmi con più attenzione sul mistero di quelle parole nuove dal respiro così antico, carpirne il segreto, provare a dominarle. Leggenda Privata non solo è un libro che ti insegna nuove parole italiane, ma che ti ricorda che cos'è la lingua italiana, ti illumina sulle sue possibilità, ti apre nuove orizzonti e tu, povero lettore in balia di quel concerto semantico, non puoi far altro che arrenderti alla vertigine dello spettacolo. C'è però da aggiungere che Michele Mari non è uno sborone della parola. Ogni sua acrobazia e infiorettata hanno il loro perché e, soprattutto, non infastidiscono. Al contrario, accarezzano. In pratica, Mari è il primo della classe e, allo stesso tempo, anche il più gentile, il più simpatico, il più amato, quello che magari ti fa copiare la versione e non ti fa pesare i bei voti. Anzi, sotto sotto, agli esami di maturità va a finire che fai il tifo per lui. Finalmente, parliamo un po' di cosa parla, questa Leggenda Privata. Torturato da una serie di demoni accademici, Mari si decide a offrire in sacrificio all'altissima e mai contenta Dea della Letteratura la proprio autobiografia. I tempi sono maturi, e quest'autobiografia s'adda fare, se no chi li placa, quegli spettri che si manifestano per molestarlo nel sonno, che lo minacciano, lo ricattano e gliene dicono di tutti i colori? Così, Mari si trova quasi costretto a scrivere della propria vita, che non appena la si scrive non è più nemmeno la propria. Di cosa scrive, dunque? Ricordi frammentari, e fra i frammenti troviamo pure fotografie, rivelatorie e iconiche, di due genitori tremendi, figli di altri genitori tremendi. Il padre di Mari era un genio, un uomo che si era fatto da solo, figlio di un uomo che si era fatto da solo, entrambi cresciuti a suon di mazzate e voglia di rivalsa sociale. La madre, una donna intelligentissima che frequentava artisti, scrittori e poeti, ma sprofondata in una depressione senza via d'uscita. Una depressione quasi compiaciuta, se non autoinflitta. Perché, in fondo, secondo lei, se non sei veramente intelligente se non sei irrimediabilmente infelice. E poi: case, biblioteche, feticci, repellenti governanti, gelataie felliniane, la formazione della propria identità. E l'orrore. L'orrore di avere la consapevolezza di essere più compiuto, maturo e adulto dei propri genitori: due persone estremamente narcisiste, molto molto molto egoiste. Cioè, la consapevolezza di essere tu, figlio, il padre di tuo padre e di tua madre; e, quindi, di essere nato orfano, solo, con responsabilità che non sai nemmeno da dove ti siano venute, perché ti siano state attribuite. Avrà mai fine, questo orrore? Oppure, anche a trenta, a quaranta, a cinquanta, a sessant'anni, si ritorna a tormentarsi con le solite voci, i soliti volti, le solite facce? Forse. O forse si può trovare un attimo di pace, si possono placare le voci e i volti degli spiriti che ti tormentano, nella biblioteca della porta accanto, assieme alla signora della porta accanto, che era sempre stata lì, accanto, a amarti silenziosamente... Così, si arriva alla fine di una storia che non è una storia, una confessione sui peccati di tutti e senza redenzione, se non quella della parola. Del resto, chi saremmo, noi tutti, senza tutte quelle parole? «Così, come un paguro indifeso, mi sono dovuto cercare e trovare una bella coclea, spiraliforme, robusta, placcata di durissima madreperla: e lì stare, fra le mie parole e i miei libri.»

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SERGIO CORTI
Recensioni: 5/5

La copertina introduce gli interpreti principali della storia, o leggenda: l’eroe Michelino che salvaguarda il bene più grande dal fotografo, vile e baro, che immortala il momento per i posteri. MM si fa portavoce delle schiere infinite di bambini che, invece di entrare nella vita a cavallo di un leone, sgattaiolano furtivi e sfuggenti fra le gambe di due adulti non cattivi ma litigiosi, distratti, convinti di aver da fare cose più importanti. Naturalmente ci sono anche infinite schiere di bambini che hanno problemi più grossi, ma ciò è di poca consolazione alla schiera precedente. MM è al meglio di sé quando mette in scena l’infanzia, ma quella che conosce meglio, la sua. Per i lettori, più comica che tragica, grazie alle qualità dell’autore: di elaborazione dei sentimenti, di costruzione di uno stile e mitizzazione dei personaggi, introduzione del coro greco degli accademici fantasmi, forse 19. Credo che possa essere di consolazione, da essere umano a essere umano, per imparare a montare a neve e trasporre in modo divertente e tale da poter essere detto, cose che altrimenti hanno l’aspetto di lumache marcite nel vino o altra brodaglia immonda e che, come il famoso Ovosodo, non vanno né su né giù. Io l’ho letto così. Poi mi ha fatto ridere il discorso generazionale dell’amore per i nonni paterni, la nonna perché lieve e materna, il nonno perché era l’unico al mondo a intimorire il padre: nonostante le opinioni spesso discutibili, il nonno era il nonno, scudo affettuoso contro il babbo. Per non parlare della storia da libro Cuore della partenza da Spinazzola a 13 anni col fratello piccolo. Penso che il libro possa essere consigliato agli studenti di psicologia, ai mediatori familiari e agli aspiranti genitori, perché i tempi sono cambiati, ma la possibilità di avere dei figli sensibili (si diceva ai miei tempi) rimane.

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Michele Mari

1955, Milano

Michele Mari è scrittore, traduttore, poeta, filologo, docente di letteratura italiana all’Università Statale di Milano. Ai suoi lavori - negli anni molto apprezzati e premiati da pubblico e critica - sono stati assegnati diversi premi letterari, sia in ambito narrativo che per la produzione poetica. Tra i suoi titoli, Di bestia in bestia (Longanesi 1989), Io venía pien d'angoscia a rimirarti (Longanesi 1990; Marsilio 1998), La stiva e l'abisso (Bompiani 1992; Einaudi 2002), Euridice aveva un cane (Bompiani 1993; Einaudi 2004), Filologia dell'anfibio (Bompiani 1995; Laterza 2009), Tu, sanguinosa infanzia (Mondadori 1997; Einaudi 2009), Rondini sul filo (Mondadori 1999), I sepolcri illustrati (Portofranco 2000), Tutto il ferro...

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